Il senso della cittadinanza
Il dibattito acceso a seguito delle esternazioni di un parlamentare europeo riguardo alla differenza evidente e sostanziale tra le nozioni di «accoglienza» e «cittadinanza» è occasione buona per interrogarsi sul significato di termini importanti, sui quali forse occorre fare chiarezza.
Nel contesto della nostra democrazia il concetto di accoglienza si lega all’articolo 10 della Costituzione, nella parte in cui afferma che la persona straniera alla quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite in Italia, ha diritto di asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge.
Evidentemente, la categoria dell’accoglienza non riguarda chi nasce o vive abitualmente in una società in cui è pienamente integrato perché si accolgono gli estranei, non chi è già parte della stessa comunità.
Diverso è il significato di cittadinanza che, in senso tecnico giuridico, indica la titolarità dei diritti politici ossia la possibilità di votare o candidarsi alle elezioni e, insieme alla piena libertà di movimento sullo spazio nazionale e dell’Unione europea, è l’unica prerogativa che è riservata ai cittadini e alle cittadine, non a ogni individuo presente sul territorio. Infatti, tutti i diritti civili - come la libertà di manifestazione del pensiero e di religione - e sociali - come il diritto alla salute e alla istruzione - spettano all’essere umano in quanto tale, senza distinzione dettata dalla nazionalità attestata dai documenti. A questo punto il ragionamento si concentra sul criterio in base al quale assegnare la cittadinanza e i diritti che ne conseguono. La questione di fondo è semplice: chi ha diritto a partecipare attivamente alla vita pubblica italiana?
1) Chi è figlio di genitori italiani ma vive stabilmente all’estero e magari vi è sempre vissuto;
2) Chi nasce in Italia o ci abita sin dalla tenera età; padroneggia l’italiano come madrelingua, frequenta le scuole dell’obbligo con profitto, cresce immerso nella società italiana con i riferimenti culturali che tale ambiente trasmette
La razionalità imposta a chi ragiona in termini di diritto rende la domanda quasi oziosa perché pare logico che chi vive sul territorio, partecipa alla vita della comunità e contribuisce ad arricchirla con il proprio lavoro, con lo studio o con l’impegno sportivo debba avere possibilità di scegliere da chi farsi rappresentare nelle istituzioni oppure di impegnarsi attivamente, candidandosi a una carica politica. Oggi, al contrario, persone che hanno ottenuto la cittadinanza per legami di ascendenza, trascorrendo la vita lontano dal suolo italiano possono votare mentre chi è cresciuto qui deve assistere da spettatore al circuito della democrazia.
La cittadinanza non è una gentile concessione offerta a chi risponde a presunte caratteristiche somatiche (sic!), culturali o tradizionali arbitrariamente stereotipate bensì una fredda categoria del diritto, uno status giuridico al quale corrispondono diritti e doveri.
Il problema è che attualmente, nel nostro Paese, esiste uno sbilanciamento che mina l’equilibrio perfetto tra i diritti e i doveri alla base del costituzionalismo, perché moltissime persone che hanno vissuto tutto o gran parte del loro tempo in Italia, lavorando e pagando le tasse o studiando e crescendo nel rispetto dei valori costituzionali sono discriminate.
Lo Stato ha il dovere di colmare il divario tra diritti e doveri che penalizza soprattutto i cosiddetti italiani di seconda generazione e che offende il principio di eguaglianza sul quale si incardina l’impianto costituzionale.
La cittadinanza deve essere riconosciuta, non concessa, a chi è italiano per aver assorbito i principi, i valori, la lingua e la cultura di questo Paese, pur associandoli a retaggi provenienti da tradizioni diverse, come già accade nella maggior parte delle nostre famiglie, frutto di commistioni variegate che arricchiscono l’identità individuale e hanno ben poco a che fare con il diritto di voto, che attiene principalmente al legame viscerale e concreto con l’ordinamento, dimostrato dalla presenza effettiva e costante sul territorio e dal rigoroso rispetto delle regole.
Carla Bassu, 23 agosto 2024