Combattere l’astensionismo per migliorare la democrazia

Le elezioni regionali sarde della scorsa domenica, 25 febbraio, suscitano ampi e diversi spunti di riflessione ma c’è un aspetto che, tra i tanti, reclama attenzione: la percentuale di persone che non è andata a votare. Quasi la metà dell’elettorato sardo non si è recato alle urne.

Nella democrazia italiana il voto assume le fattezze di un “dovere civico”, non un obbligo vero e proprio perché se così fosse l’astensione non giustificata comporterebbe una sanzione, come accade in Belgio o in Australia per esempio. Si tratta però di un comportamento fortemente raccomandato dall’ordinamento perché sulla partecipazione del popolo alla selezione dei propri rappresentanti si fonda la legittimazione dell’ordinamento istituzionale e del sistema democratico. In realtà il voto è soprattutto un diritto, conquistato con fatica e sangue dalle generazioni che ci hanno preceduto e che hanno lottato per ottenere il potere di contribuire con la propria scelta alla selezione della classe dirigente. Le elezioni, di qualunque ordine e grado, sono il momento di massima espressione del principio democratico e rappresentano la manifestazione plastica del potere che ciascuno ha di influenzare in parte minima ma non ininfluente la qualità e l’indirizzo delle nostre istituzioni. Votando scegliamo chi è chiamato, per un determinato periodo di tempo, a compiere in nostra vece decisioni che hanno un impatto sulla vita di tutti e tutte. Rinunciare al voto significa arrendersi al volere altrui.

La politica altro non è se non riflessione, gestione e decisione sui più diversi ambiti della cosa pubblica e ci riguarda nostro malgrado. Lasceremmo mai che nel condominio in cui viviamo i nostri vicini decidano senza interpellarci sugli spazi comuni? A tutti i livelli, in una realtà democratica, le decisioni sono prese secondo il principio di maggioranza ma la partecipazione deve essere garantita e le minoranze ascoltate e considerate.

Il dato ormai conclamato e tristemente crescente dell’astensionismo elettorale ci dice che molti non sono interessati alla partecipazione politica o, peggio, pensano che il proprio voto non sia davvero rilevante nella determinazione delle decisioni pubbliche. Si tratta di un grande fallimento per la democrazia che non deve essere accettato come un dato di fatto ma dovrebbe essere interpretato come un allarme potente. Alla base dell’astensionismo c’è sicuramente una forte delusione e disillusione, alimentata dalla incapacità dei partiti più e meno tradizionali di raccogliere e veicolare le esigenze della collettività, dando risposte efficaci. Per riportare le persone alle urne occorre intanto riconquistarne la fiducia con comportamenti virtuosi che mostrino l’interesse esclusivo e genuino per il bene comune. Trasparenza e democraticità nella vita interna dei partiti è un primo passo cui dovrebbe associarsi un’opera di sensibilizzazione e formazione civile sin dai primi anni di vita. Bisogna lavorare per dimostrare che la politica non è qualcosa di lontano o altro da noi ma ci riguarda direttamente e perciò dobbiamo rivendicare il nostro ruolo rispetto alle scelte collettive e pretendere un percorso politico lineare e pulito, ricordando il potere grande che risiede nella possibilità di negare il nostro voto a chi non si comporta bene o, semplicemente non ci piace o non ci piace più.

Tutt’atro discorso vale invece per coloro i quali vorrebbero ma non possono votare, perché per esempio costretti fuori sede nell’ impossibilita di sostenere i costi di un viaggio per tornare a casa. Queste persone devono essere messe nelle condizioni di godere del diritto di elettorato attivo e le istituzioni hanno il dovere di agire per rimuovere gli ostacoli che impediscono l’esercizio di una prerogativa fondamentale, lo dice la Costituzione.

 

Carla Bassu, 28 febbraio 2024