1.In
premessa e a presupposto della riflessione che segue segnalo che condivido i
presupposti e gli obiettivi dichiarati dalle proposte di riforma costituzionale (ddl. 935 e 830, rispettivamente di iniziativa governativa
e del senatore Renzi) entrambe
orientate a promuovere governi di legislatura.
È
innegabile che la macchina istituzionale italiana sia inceppata e che questo
comporti un impatto negativo sul processo decisionale, ma anche sulla
competitività generale del paese sotto il profilo geopolitico, economico e sul
piano internazionale. Con riguardo alla forma di governo, da almeno quaranta
anni si discute di modificare il sistema per introdurre i meccanismi di
razionalizzazione auspicati già in sede costituente. Le proposte di riforma che
si sono succedute nel tempo sono sostanzialmente allineate rispetto alla
esigenza di una razionalizzazione dei rapporti tra Governo e Parlamento e un
rafforzamento del ramo esecutivo, ritenuto funzionale alla realizzazione di
obiettivi di stabilità e governabilità.
Da parte mia nessun dubbio sulla necessità
di intervenire con misure mirate che tengano conto non solo del dettato formale
della regola che si intente introdurre, né del messaggio che si invia
all’elettorato tramite la comunicazione o la “narrazione” della innovazione,
quanto dell’impatto effettivo della nuova cornice costituzionale, che è
influenzato in misura determinante dalle circostanze di contesto, dalla cultura
istituzionale, dalla dinamica politica: tutti fattori solo parzialmente
prevedibili che – a fronte della inevitabile imperscrutabilità –
richiederebbero un sistema flessibile e adattabile alle diverse situazioni che
l’esperienza – italiana ma non solo – dimostra si potrebbero verificare.
Stabilire regole rigide che ingabbino il sistema per evitare che si verifichino
manifestazioni patologiche che ben abbiamo presente (dalla instabilità, al
transfughismo, alla estrema fluidità delle maggioranze) rischia di rivelarsi
controproducente perché le regole rigide si adattano a situazioni precise e predefinite,
mentre la realtà – e la storia dei nostri 68 governi in 75 anni di Repubblica
lo dimostra – spesso ci sorprende.
2. Nello specifico, nei disegni di
legge ora all’esame del Senato si
individua nell’elezione diretta l’elemento di stabilizzazione e valorizzazione
del principio democratico e della rivalutazione del potere di scelta del popolo
ma a mio parere questo è messo in discussione:
A)
dal contesto politico che
contraddistingue la realtà italiana;
B)
da alcune misure introdotte in
particolare dal ddl governativo,
che in certi aspetti pare contraddittorio rispetto alle finalità perseguite.
A).Con riguardo al primo profilo,
di Costituzione materiale, l’elezione diretta del capo dell’esecutivo promuove
stabilità e dunque governabilità solo nelle società politicamente pacificate,
con sistemi solidamente e radicatamente bipolari o proprio bipartitici, come
accade per esempio in UK dove l’elemento di equilibrio e razionalizzazione è
rappresentato dalla presenza (nei fatti, non ottenuta con l’imposizione di
regole formali) di partiti forti che conservano nella sostanza l’affidamento
dell’elettorato, dato che ha consentito negli ultimi mesi l’avvicendamento di
tre guide diverse a capo del governo britannico, tramite un meccanismo tutto
interno al partito di maggioranza; ma questo è proprio quello che si intende
evitare con questa riforma, volta dichiaratamente a restituire il potere
decisionale al popolo per sottrarlo ai partiti e alle mosse di palazzo.
Ebbene, in scenari politici
conflittuali e polarizzati come il nostro, dove anche all’interno delle
coalizioni di maggioranza e opposizione non c’è pieno allineamento politico e
ideologico, l’elezione diretta si dimostra divisiva, non pacificatrice, e si
presta a esacerbare più che quietare là conflittualità.
B.) Elementi in contraddizione
rispetto agli obiettivi derivano poi da due innovazioni proposte nel ddl 935 e
riguardano specificamente: - la norma “anti ribaltone” e il premio di
maggioranza senza soglia introdotto in Costituzione.
- La norma cosiddetta antiribaltone introdotta dal ddl di
iniziativa governativa, depotenzia fino ad annullare l’effetto “stabilizzatore”
della elezione diretta, visto che toglie lo scettro del potere all’elettorato
per restituirlo ai partiti (cosa che invece si aspira più di tutto a evitare),
che possono accordarsi per sostituirlo e annichilire dunque la volontà popolare
a favore di quella delle forze di maggioranza.
- Come
segnalato (punto A.), affinché l’elezione diretta del premier garantisca
risultati non solo nominali in termini di promozione di stabilità effettiva e
di una sostanziale continuità di indirizzo politico occorre un sistema politico
fondato su pochi e solidi partiti e su coalizioni coese che godano di un
sostegno forte e radicato nell’elettorato. Secondo il ddl. 935 questo risultato
dovrebbe essere garantito dal premio di maggioranza molto alto assegnato per
prescrizione costituzionale (altro aspetto di criticità), ma anche questo si
presta a distorcere la volontà popolare e a creare potenzialmente una
maggioranza artificiosa, grazie a un premio senza soglia – in serio odore di
incostituzionalità sulla base dell’orientamento della giustizia costituzionale
in materia – che si presta a formare maggioranze non necessariamente
corrispondenti alla posizione effettiva dell’elettorato, con un vulnus al
principio di rappresentatività. Naturalmente questo aspetto può essere corretto
con l’introduzione di una soglia ma, in generale, non inserirei riferimenti
espliciti nel testo costituzionale, preferendo intervenire in sede di legge
elettorale con una formula che non comprometta la rappresentatività del sistema
pur promuovendo il principio maggioritario.
3. Vi sono ulteriori aspetti di criticità, a partire
dall’impatto sulla sfera delle prerogative presidenziali, inevitabile anche nel
ddl 935 in cui le funzioni del Capo dello Stato non vengono modificate
formalmente. In realtà, in entrambi i casi, la figura del Presidente della
Repubblica verrebbe ridimensionata nel suo ruolo di garanzia, dimostratosi
prezioso nei, non rari, momenti di crisi. Di fronte a un premier eletto il Pdr
perderebbe la funzione di mediatore, arbitro, motore di riserva pronto a
estendere la fisarmonica nei momenti di impasse politica per ritrovarsi mero
notaio e ratificatore, ridotto a simbolo, cosa che oggi non avviene grazie all’articolazione
flessibile di prerogative maturate in via di convenzioni e prassi
costituzionali.
Trovo
contraddittoria la previsione della fiducia che il premier eletto dovrebbe
chiedere al Parlamento e che dovrebbe essere espressa nei confronti dell’intero
governo: elezione e fiducia iniziale sono percorsi di legittimazione paralleli,
diversi, che non ha senso sommare.
Nel ddl. 935 alla elezione diretta
non corrisponde un consolidamento della posizione di forza del premier – che
resta peraltro Presidente del Consiglio - in termini di aumento delle
prerogative come: la fiducia diretta alla sua figura istituzionale e non
all’intero organo collegiale di governo; la possibilità di revocare i ministri
e di chiedere al Presidente della Repubblica lo scioglimento anticipato delle
camere.
L’elezione diretta, da sola è una
misura inefficace rispetto all’obiettivo di stabilizzazione ed è associata alla
possibilità di sostituzione del Presidente del Consiglio eletto per opera della
maggioranza, sebbene nel perimetro della stessa compagine con la scelta di un
parlamentare. Questo si presta a sminuire il voto popolare e innesca un alto
tasso di conflittualità interno alla maggioranza che smentisce nei fatti le
finalità dichiarate di stabilità.
4.
In sintesi, non è efficace rispondere con regole costituzionali a problemi di
natura politica che nascono e si sviluppano a prescindere dalle norme formali.
Occorre invece coltivare e promuovere processi virtuosi che riportino
le persone al centro del circuito politico in modo sostanziale, grazie a una
partecipazione costante e consapevole alle dinamiche decisionali, non soltanto
con una scelta elettorale rivolta a una persona ogni cinque anni.
Avendo chiaro questo obiettivo è
possibile intervenire con misure che promuovano la stabilità tenendo conto
della realtà, preservando l’equilibrio degli organi costituzionali e incidendo
sulla figura guida dell’esecutivo senza necessariamente modificarne il sistema di legittimazione
indiretta. In particolare, dovrebbe essere dedicata massima attenzione
all’impatto effettivo di norme che formulate in teoria con una determinata
finalità, per ragioni di contesto, ottengono in concreto effetti ben diversi
rispetto a quelli auspicati.
Carla
Bassu, 12 dicembre 2023
*Il testo riproduce
i contenuti dell’audizione tenuta di fronte alla I Commissione Affari
Costituzionali del Senato della Repubblica, il 5 dicembre 2023