Premessa; 1. Obiettivi
della riforma; 2. Soluzioni individuate nei progetti di legge; 3. Criticità; 4.
Osservazioni conclusive
Premessa.
C’è una questione di fondo che mi preme porre
a presupposto del ragionamento che oggi vi sottopongo: quando si procede per
modificare la Costituzione che – non ci si stanca di ribadire - è il cuore pulsante di un ordinamento, dal
momento che contiene il nucleo di principi, valori, diritti, doveri e regole di
vita costituzionale, bisogna essere sicuri che ciò sia più che necessario,
indispensabile. Ebbene in Italia, a mio parere, la situazione richiede un intervento
di razionalizzazione della forma di governo formulato alla luce della specificità
del sistema politico
e della cultura istituzionale.
In questa ottica, lo scopo del presente
contributo è:
1. individuare gli obiettivi che si intende
conseguire con la riforma;
2. identificare le soluzioni individuate dai due disegni
di legge in esame per conseguire queste finalità e, infine,
3.
segnalare gli aspetti che, a parere di chi scrive, presentano criticità.
1. Obiettivi della riforma.
Cosa si vuole ottenere con la
riforma del sistema di governo? Le finalità sono dichiarate nei due progetti di
legge, sono sostanzialmente sovrapponibili e corrispondono a quanto emerso nel
dibattito sulle riforme negli ultimi quarant’anni:
- stabilità dei governi;
- efficienza dei processi
decisionali;
- rafforzamento del processo
democratico e ricostruzione del legame di fiducia tra governati e governanti
attraverso la restituzione all’elettorato di un potere effettivo di scelta
degli organi costituzionali;
a questi obiettivi si dovrebbe
forse aggiungere la rivitalizzazione dell’incidenza del Parlamento
nell’indirizzo politico.
2. Soluzioni individuate nei
progetti di legge.
Entrambi i testi su
cui oggi ci confrontiamo ruotano attorno all’elezione diretta del Presidente
del Consiglio: è questo il centro della riforma, il fattore su cui si punta per
ottenere gli obiettivi di stabilità e di ricostruzione del legame con
l’elettorato.
Proprio nella elezione diretta del Presidente del Consiglio
si individua l’elemento di stabilizzazione del sistema; di valorizzazione del
principio democratico e di rivalutazione del potere di scelta del popolo e qui
sta, a mio parere, una importante criticità.
3.Criticità.
Quello che non torna nelle due proposte e soprattutto nel
progetto governativo (A.C. 1951) è il nesso di causalità dato per presupposto
tra elezione diretta, stabilità e democraticità - intesa nel senso di
rafforzamento autentico del rapporto tra elettorato e persona eletta. Ma
soprattutto l’elezione popolare della premiership viene introdotta come una
sorta di soluzione universale senza un opportuno corredo di contrappesi
indispensabili a conservare l’equilibrio del sistema.
Nello specifico, mi preoccupa il cosiddetto “effetto
trascinamento” delle votazioni per il Presidente del Consiglio rispetto alla
composizione del Parlamento. Stride l’attribuzione del premio destinato a
consentire la creazione di una solida maggioranza in Parlamento sulla base di
voti espressi per eleggere un altro organo costituzionale, per di più un organo
monocratico in cui l’elemento personalistico, le caratteristiche individuali
della persona che si vota sono determinanti nella stessa espressione del voto.
Trovo anomalo rispetto al sistema di separazione dei poteri
e checks and balances che caratterizzano una democrazia, a prescindere dalla
forma di governo, l’allineamento così netto tra due organi costituzionali
provenienti entrambi da fonte di legittimazione diretta. E’ una interdipendenza forzata che segna un
destino di subordinazione per il Parlamento che, al contrario, dovrebbe essere
rivitalizzato con dispositivi capaci di restituire centralità ed efficienza a
un organo depauperato.
Questo vale a maggior
ragione nel momento in cui non è chiara la formula elettorale con cui si
voterà; si tratta di una questione macroscopica perché il sistema elettorale
può davvero fare la differenza, tenuto conto che in assenza di correttivi
adeguati c’è davvero il rischio che una minoranza relativa legittimi premier e
compagine parlamentare, che saranno a loro volta chiamati a esprimere tra
l’altro Presidente della Repubblica e giudici costituzionali, con un forte
potenziale di sbilanciamento del sistema.
A questo proposito,
l’art. 5 del ddl Meloni Casellati stabilisce che «La legge disciplina il sistema per
l’elezione delle Camere e del Presidente del Consiglio, assegnando un premio su
base nazionale che garantisca una maggioranza dei seggi in ciascuna
delle Camere alle liste e ai candidati collegati al Presidente del Consiglio,
nel rispetto del principio di rappresentatività e di tutela delle minoranze
linguistiche». Anche alla luce della giurisprudenza costituzionale pregressa in
materia mi chiedo se un premio possa essere tale da garantire una
maggioranza assoluta dei seggi o se sia opportuno calibrare un premio capace al
massimo di favorire, o agevolare la formazione di una maggioranza.
Continua a non convincermi, con riferimento al d.d.l. 1921,
che il Presidente del Consiglio eletto direttamente debba ottenere la fiducia
iniziale del Parlamento e riceva poi il conferimento dell’incarico dal
Presidente della Repubblica. Si tratta di una dinamica irrazionale: intanto
elezione e fiducia iniziale sono percorsi di legittimazione paralleli, diversi,
che non possono essere sommati e poi trovo destabilizzante conservare in capo
al Presidente della Repubblica la prerogativa di conferire l’incarico, è un
potere privo di contenuto, del tutto simbolico, che svuota di significato il
ruolo del Capo dello Stato in questo frangente.
Ancora, trovo irrazionale nel quadro generale di obiettivi
del disegno di legge governativo – nonostante i correttivi introdotti – la
figura del secondo premier non eletto, che si pone in contraddizione con
l’obiettivo dichiarato di valorizzare
il potere di scelta all’elettorato perché di fatto consente ai partiti di
superare il voto popolare che ha una valenza intuitu personae.
Nello stesso senso
trovo anomala e problematica la previsione di cui all’art. 7 del ddl
governativo che modifica l’art. 94 della Costituzione prevedendo un regime
differenziato in caso di revoca della fiducia mediante mozione motivata – a
fronte della quale il Presidente del Consiglio eletto deve rassegnare le
dimissioni e il Presidente della Repubblica deve sciogliere le Camere - e negli
altri casi di dimissioni. Nei casi di dimissioni che non siano la mozione di
sfiducia motivata il/la Presidente del Consiglio eletto/a, entro sette giorni e
previa informativa parlamentare, ha facoltà di richiedere lo scioglimento delle
Camere al Presidente della Repubblica che lo dispone. Qualora il Presidente del
Consiglio eletto non eserciti tale facoltà, il Capo dello Stato conferisce
l’incarico di formare il Governo, per una sola volta nel corso della
legislatura, al Presidente del Consiglio dimissionario o a un parlamentare
eletto in collegamento con il Presidente del Consiglio. Questa ultima dinamica
si produce anche nei casi di decadenza, impedimento permanente o morte del
Presidente del Consiglio eletto.
Non mi soffermo su
aspetti problematici che sono stati già affrontati da interventi che mi hanno
preceduta e che condivido nella sostanza:
I.)
la possibilità di creazione di maggioranze
eterogenee nelle due Camere
II.)
la questione del voto degli italiani
all’estero, che si presta a effetti distorsivi che occorre considerare e
correggere
Da ultimo, in
sintesi, registro l’assenza di interventi di razionalizzazione del modello di bicameralismo e di
correzione di pratiche patologiche come l’abuso di decretazione d’urgenza e
maxiemendamenti che hanno contribuito, nel tempo, a ridurre fino a umiliare il
ruolo del Parlamento che dovrebbe essere rinvigorito.
4.
Considerazioni
conclusive
In estrema sintesi, a mio modo di vedere e alla luce del
diritto comparato, il punto debole della proposta così come ora formulata è
l’investimento totale sulla elezione diretta come strumento di stabilizzazione
del sistema, promozione della governabilità e rafforzamento del principio
democratico in assenza di contrappesi adeguati a garantire l’equilibrio tra
poteri costituzionali.
Rilevo l’assenza di
interventi di razionalizzazione del modello di bicameralismo, anche per
garantire capacità rappresentativa dei
territori a livello centrale, e di correzione di pratiche patologiche come l’abuso di
decretazione d’urgenza e maxiemendamenti che hanno contribuito, nel tempo, a
ridurre fino a umiliare il ruolo del Parlamento che dovrebbe essere
rinvigorito.
I problemi ormai radicati nella
forma di governo italiana possono essere superati con riforme che riescano a
razionalizzare i rapporti tra Governo e Parlamento (come peraltro già auspicato
in sede costituente – v. ordine del giorno Perassi), favorendo l’azione
dell’organo esecutivo e salvaguardando il ruolo cruciale del Parlamento, senza
dunque compromettere l’equilibrio dei poteri che resta priorità e requisito
imprescindibile in una democrazia.
Tutto questo deve essere fatto
tenendo conto del particolare tessuto istituzionale, politico e culturale
italiano, che bisogna leggere e interpretare per elaborare norme adeguate al
contesto, così da ridurre al minimo il rischio di distorsioni e sorprese
spiacevoli in fase di applicazione.
Carla Bassu, 29 luglio 2024[1]
[1] Il
testo riproduce il contenuto dell’audizione tenuta di fronte alla I Commissione Affari Costituzionali della Camera
dei deputati il 18 luglio 2024, nell’ambito dell’esame in sede referente
dei progetti di legge costituzionali C. 1354 Boschi e C. 1921 Governo,
approvato, in prima deliberazione del Senato, in materia di modifiche alla
Parte II della Costituzione