La Costituzione prêt-à-porter

Pensieri su diritti, istituzioni e vita quotidiana 

 

Chi sono 

Carla Bassu, sassarese, studio e insegno il diritto pubblico comparato. Figlia, sorella, moglie e mamma orgogliosa, inseparabile dal fedele Fiji. Sportiva praticante, credo nel valore dello sport come terreno di miglioramento e sana competizione con sé stessi, prima che con gli altri. Globe-trotter precoce e lettrice vorace, conservo e coltivo la curiosità dell’infanzia. Militante delle libertà fondamentali e appassionata sostenitrice delle battaglie per le pari opportunità, aspiro a crescere mia figlia libera dagli stereotipi e consapevole che tutto si può fare.



I vestiti nuovi della Costituzione

 

Quasi un mese fa, il 9 maggio, la Presidente del Consiglio ha convocato le opposizioni per aprire un confronto sulla modifica della forma di governo, dando avvio a una nuova stagione delle riforme costituzionali. Presidenzialismo? Semipresidenzialismo? Premierato? Cancellierato? Quale è il modello più adatto a questa epoca di instabilità non solo metereologica?

Nel panorama del diritto contemporaneo le formule di governo sono tante e pluri-sfaccettate, forgiate da raffinate operazioni di ingegneria costituzionale e limate dall’esperienza dei contesti in cui si applicano adattandosi, come l’acqua, alla forma della realtà istituzionale di riferimento.

Immaginiamo dunque di trovarci di fronte a una gamma variopinta di sistemi, così tanti e attraenti per motivi diversi da risultare disorientanti. Per evitare di essere sovrastati dall’offerta occorre avere intanto chiara l’esigenza che ci porta a optare per un nuovo modello e selezionare con cura in ragione dell’obiettivo che si intende perseguire.

Come quando abbiamo bisogno di un vestito nuovo, per evitare acquisti improvvidi bisogna indirizzare la ricerca sulla base di elementi che solo in parte hanno a che fare con i gusti personali e pensare all’occasione, al clima, alla funzionalità dell’indumento che non deve solo piacerci ma, soprattutto, ci deve stare bene.

I tacchi a spillo sono belli e donanti ma mal si adattano a una passeggiata in montagna. Così l’elezione diretta del capo dell’esecutivo è sulla carta espressione massima di democraticità ma se inserita in determinati contesti rischia di essere controproducente e compromettere l’equilibrio del sistema.

Per prima cosa la riflessione sulle riforme deve essere sottratta alle ideologie e protetta da ogni forma di strumentalizzazione a fini di gradimento politico o elettorale. Una riforma costituzionale non è una medaglia da appuntare sul petto per dimostrare di avere avuto successo laddove altri hanno fallito. La Costituzione si cambia soltanto se la modifica è non solo necessaria bensì indispensabile a risolvere un problema che risulta altrimenti insormontabile.

Lo schema di azione deve seguire un metodo rigoroso: prima l’anamnesi con analisi accurata della situazione generale; poi l’esame obiettivo, con individuazione puntuale delle criticità e solo dopo si può pensare alla terapia, mirata e studiata su misura non esclusivamente in base alla patologia riscontrata ma anche in ragione delle caratteristiche specifiche e delle capacità di reazione dell’ammalato.

Se si procede in questo modo, tenendo bene a mente il quadro clinico del paziente Italia, non si rischia – per esempio - di cedere alle sirene dell’elezione diretta del “capo” perché la storia anche recentissima dimostra che una leadership con legittimazione popolare non è funzionale alla coesione bensì alla destabilizzazione di un sistema di base non pacificato.

Il quadro politico italiano è a dir poco conflittuale e, come dimostrato dall’esperienza comparata (Stati Uniti, Brasile per citare alcuni esempi), il presidenzialismo ha effetti divisivi e non quieta ma accentua la polarizzazione, incidendo in senso negativo sulla stabilità che risulta l’obiettivo primario per il nostro Paese. Ancora, l’elezione diretta del Capo dello Stato o del Governo incide inevitabilmente sulla figura del Presidente della Repubblica, che sarebbe ridimensionata nel ruolo di garanzia dimostratosi prezioso nei, non rari, momenti di crisi.

Intervenire sul meccanismo di legittimazione dell’esecutivo comporterebbe inoltre un’ampia riponderazione degli strumenti di equilibrio, dei pesi e contrappesi posti a garanzia del sistema, che dovrebbero essere ripensati in toto. Ciò mal si concilia con una riforma cum grano salis, condotta secondo il criterio del minimo intervento.

Più funzionale al conseguimento degli obiettivi di stabilità dei governi ed efficacia dei processi decisionali sarebbe l’indicazione del/la Presidente del Consiglio nella scheda elettorale, così da ottenere una indicazione vincolante a garanzia di coesione delle coalizioni. Si potrebbe poi intervenire sul rapporto tra Parlamento e Governo, prevedendo una fiducia rivolta nei confronti della persona del/la Presidente del Consiglio, che vedrebbe così ulteriormente rafforzata la sua funzione nell’ambito dell’esecutivo, in un contesto di tipo neo-parlamentare che contempli la sfiducia costruttiva ma anche la possibilità per il/la premier di proporre lo scioglimento anticipato delle Camere in caso di bocciatura di una questione di fiducia, analogamente a quanto previsto in Germania.

Si tratta di correttivi che non irrompono sulla forma di governo, stravolgendola, ma incidono sugli aspetti di maggiore criticità per irrobustire la premiership senza depotenziare Presidente della Repubblica e Parlamento..

Carla Bassu, 30 maggio 2023 

Costituzione è Liberazione

Le Costituzioni sono documenti storici e la nostra non fa eccezione, risultando espressione di un compromesso virtuoso e irripetibile di visioni diverse ma unite nella volontà di superare il doloroso passato illiberale e cristallizzare il patrimonio comune di principi e valori inclusivi e pluralisti.

La Carta che, in Italia, dal 1948 stabilisce le basi su cui si fonda il nuovo ordinamento democratico è un documento di reazione alla esperienza vissuta dalle madri e dai padri costituenti, che avevano sperimentato direttamente la realtà in una forma di Stato dirigista e paternalista, in cui la vita dei singoli era eterodiretta secondo canali stabiliti dal regime, che organizzava rigidamente sin dall’infanzia l’esistenza pubblica e privata della cittadinanza.

La Costituzione italiana trasuda antifascismo perché il rifiuto del regime autoritario è il collante che lega le diverse identità della Resistenza, cementate nella costruzione di una intesa costituzionale condivisa. L’antifascismo non si esaurisce in una matrice ideologica ma costituisce la visione ampia delle anime che – politicamente distanti ma convergenti nella volontà di costruire un patto costituzionale democratico – condivisero il progetto di instaurare un modello in cui tutti potessero vivere e coltivare la propria libertà.

Nell’Assemblea Costituente esponenti di correnti ideologiche opposte – laiche e cattoliche, comuniste e liberali, centriste e radicali – lavorarono fianco a fianco, alternando confronti armonici a scontri accesi che sfociarono infine in una formula normativa garantista e non ripiegata su interessi di parte.

Il filo rosso che accomunava culture e visioni ideologiche lontane era l’imprinting antifascista che si evince ancora dalla lettura organica dei principi fondamentali, dei diritti, dei doveri e della organizzazione istituzionale che caratterizza l’impianto costituzionale italiano. Così l’articolo 3 elenca al primo comma la gamma di discriminazioni operate sistematicamente durante il fascismo per prenderne le distanze: non più distinzioni di sesso, razza, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali, così dice la Costituzione. Ancora, in netta controtendenza con il regime previgente, la Repubblica riconosce e valorizza le autonomie territoriali, garantisce le minoranze linguistiche, assicura la libertà di circolazione, associazione, riunione e ripudia la guerra come strumento di risoluzione delle controversie. L’impostazione dell’architettura istituzionale risente del complesso del tiranno e delinea strumenti di razionalizzazione della forma di governo orientati ad assicurare l’equilibrio dei poteri. Un sistema di pesi e contrappesi pensato come antidoto contro l’autoritarismo.

Lo spirito della Costituzione Repubblicana è inequivocabilmente antifascista.

Carla Bassu, 24 aprile 2023 

La specialità dell'essere isola

75 anni fa, nella cornice della neonata Costituzione, il percorso della Repubblica italiana si avviò con l’approvazione degli Statuti delle Regioni speciali, dando vita a un modello di autonomia differenziata giustificato dal riconoscimento di peculiarità territoriali che esigevano di essere considerate. La premura con cui furono approvate le prime quattro leggi costituzionali, tra cui lo Statuto sardo, dimostra l’esigenza di riconoscere subito e valorizzare specificità annichilite dal centralismo esasperato del regime fascista. In quel contesto, l’insularità giocò un ruolo determinante, perché individuato come fattore geopolitico sufficiente a legittimare forme accentuate di autodeterminazione e sostegno: un plus di specialità nell’ambito delle Regioni a Statuto differenziato.

Nel testo originale della Costituzione del 1948 era previsto un riferimento esplicito alle isole, rimasto sostanzialmente lettera morta per poi essere rimosso dalla riforma del 2001. Con la legge costituzionale n. 2 del 2022, approvata da una maggioranza ampia e trasversale, a Camere sciolte, si ottiene l’inserimento di un nuovo richiamo alla insularità nell’art. 119 della Costituzione: un traguardo importante che non può ritenersi di per sé sufficiente ad assicurare un miglioramento delle condizioni di vita nelle isole.

Per trasformare l’essere isola da condizione sfavorevole in opportunità occorre infatti un’azione sistematica, da attuarsi con interventi puntuali e inseriti in un piano strategico in cui l’insularità diventa parametro di legittimità per le leggi, per i provvedimenti amministrativi e per i regolamenti.  È una “differenza potenziata” che deve essere tenuta in considerazione anche con riguardo alle isole più piccole di cui la Sardegna è costellata.

Nella cornice dell’articolo 3 della Costituzione, l’insularità configura evidentemente un «ostacolo» alla uguaglianza sostanziale, costituendo a tutti gli effetti un limite alla possibilità di piena ed equa partecipazione alla vita lavorativa, economica e sociale in un contesto di parità e competitività non viziata. Vivere in Sardegna – tra i molti lati positivi - comporta uno svantaggio naturale, grave e permanente, che impedisce o rende comunque complicato concorrere ad armi pari con i connazionali continentali. Il primo passo per valorizzare la specificità trasformandola in risorsa è individuare nel dettaglio gli ambiti di penalizzazione e quantificare il costo economico necessario per colmare il gap di opportunità sulla base di calcoli precisi. Diritto allo studio, al lavoro, all’assistenza sanitaria e ai servizi pubblici in generale devono essere assicurati secondo standard uniformi sul territorio nazionale, ma sono difficilmente accessibili per chi vive su un’isola. Il riferimento costituzionale al principio di insularità risulterà efficace nel momento in cui si rivelerà un dispositivo operativo, funzionale ad azioni rivolte a ridurre fino ad annullare le distanze in termini di disponibilità e godimento di diritti fondamentali. Occorre definire correttivi specifici basati sulla insularità da considerare nella determinazione (ancora attesa) dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP), relativi ai diritti che rappresentano gli standard minimi da assicurare su tutto il territorio. Naturalmente, nulla può essere fatto senza investimenti adeguati e, soprattutto, è importante che l’azione non sia limitata al livello nazionale bensì coordinata in ambito dell’Unione europea, dove le isole sono riconosciute – per ragioni fisiologiche ineliminabili - tra le aree più vulnerabili e tutelate nella sfera delle politiche volte alla riduzione del divario tra i livelli di sviluppo delle diverse regioni europee (art. 174 TFUE). In questa ottica occorre agire per adeguare la disciplina in materia di aiuti di Stato, definendo un regime di fiscalità di vantaggio che possa essere riferimento per tutti gli Stati membri e studiando strumenti ad hoc nel quadro della politica di coesione. In Europa esistono già casi di isole capaci di sfruttare il riconoscimento costituzionale della specificità; basti pensare agli arcipelaghi di Spagna e Portogallo, vicini a noi per cultura e impostazione costituzionale, che presentano un modello di regionalismo asimmetrico, in cui il fattore insulare è il perno di un sistema normativo e di agevolazioni premiante. In Italia, già in avvio di legislatura sono state presentate proposte di legge di attuazione del principio costituzionale di insularità e per la creazione di un fondo ad hoc. L’augurio è che la volontà politica sostenga un processo necessario a inverare i principi di eguaglianza ed equità economica e sociale, fino a ora compressi in Sardegna, isola speciale perché grande e lontana dalla terraferma, portatrice di un patrimonio identitario multiforme e di risorse inestimabili e finora ampiamente inespresse.

Con il principio di insularità in Costituzione si riconosce una specificità geopolitica evidente, che non può essere ignorata in un ordinamento in cui le istituzioni pubbliche locali, regionali e statali hanno il dovere e non l’opzione di intervenire per rimuovere gli ostacoli che, limitando la libertà e l’uguaglianza delle persone, impediscono il pieno sviluppo individuale e l’effettiva partecipazione di tutti e tutte all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Settantacinque anni non sono bastati per ottenere il risultato ma confidiamo che si possa recuperare il tempo perduto.

*articolo pubblicato nell'Inserto Speciale edito da L' Unione Sarda il 9 marzo 2023, in occasione del 75esimo anniversario dello Statuto Speciale della Sardegna



Carla Bassu, 28 marzo 2023


I costi dell’autonomia differenziata e il miraggio della continuità territoriale

Mentre il percorso dell’autonomia differenziata procede, per ora al di fuori dalle sedi rappresentative, abbiamo ascoltato parole rassicuranti dei promotori della riforma, risoluti nel sedare gli animi preoccupati: «Non ci sarà un’Italia a due velocità, né cittadini/e di serie A e B». Certo, qualche dubbio è sorto di fronte a dichiarazioni sulla prospettiva di differenziare gli stipendi degli insegnanti assunti al nord dove, lo sanno tutti, la vita è più cara.

Ma il Ministro al quale è stata addebitata questa idea ha prontamente smentito, lamentandosi di essere stato frainteso perché, sicuramente, è ben consapevole di quanto costi di più vivere e lavorare al sud e nelle isole e, soprattutto, in certe zone del meridione e dell’Italia insulare, scollegate tanto da risultare irraggiungibili. Chi ha la sventura di trovarsi al di fuori dall’asse privilegiato del tragitto Eurostar sa quanto sia dispendioso in termini di denaro e tempo spostarsi. Il gravame diventa drammatico quando si ha base su un’isola e raggiunge vette insostenibili quando si vive lontano dai centri principali. Solo chi vive nell’Italia remota sa cosa comporta la volontà di non voler rinunciare a opportunità di lavoro oltremare in termini di oneri economici, di tempo (sottratto al lavoro e alla famiglia) e di qualità della vita. Per non parlare di chi è costretto a spostarsi non per voglia di miglioramento personale ma per necessità. Quanto costa il diritto alla salute di un sardo, di un siciliano, di un calabrese della Sila? Chi lavora sull’isola dovrebbe forse godere di retribuzione rafforzata perché nel caso in cui sfortunatamente si ammali dovrà spendere cifre enormi per ricevere cure adeguate? E che dire del diritto di voto e di ricongiungimento familiare di chi lavora altrove e non può permettersi di sostenere le cifre necessarie per tornare a casa ed esercitare prerogative garantite dalla Costituzione? 

La barriera dell’insularità.

Sardegna, Sicilia e le isole minori sono parte integrante il territorio italiano e la Repubblica ha il dovere di garantire a chi vi abita le stesse opportunità offerte sulla Penisola. Continuità territoriale significa collegamento garantito con l’intero spazio nazionale, come se non ci fosse la frontiera fisica del mare che, grazie alla tecnologia, può essere superata agevolmente e velocemente da una rete di trasporti solida ed efficiente, ma serve la volontà ferma e la determinazione del decisore pubblico a garantire i diritti di tutte e tutti in modo uniforme, come vuole la Costituzione.

Chi risarcisce delle occasioni perdute, del tempo e del denaro perso per la situazione precaria di collegamenti e vie di trasporto? Per chi non ha altro modo che volare per raggiungere in tempi ragionevoli il continente, i piccoli aeroporti sono espressione della capillarità che deve caratterizzare la rete dei trasporti di un’isola affinché possa parlarsi di continuità; sono luoghi necessari alla sopravvivenza del territorio, strumenti della libertà di movimento in ingresso e in uscita, funzionali alla espressione dei diritti alla salute, al lavoro, allo sviluppo delle potenzialità economiche ma anche culturali e sociali di una regione insulare. Senza un investimento massiccio nella continuità territoriale che allinei tutti gli aeroporti isolani agli snodi internazionali e crei una corsia di collegamento sicuro da e per il resto dell’Italia e dell’Europa, il principio di insularità in Costituzione è carta straccia.

 

Carla Bassu, 28 febbraio 2023  

Il regionalismo differenziato che già c'è

Il regionalismo differenziato è protagonista del dibattito pubblico dall’inizio di questa legislatura ma l’intenzione politica che si cela dietro la volontà di attuazione della riforma rischia di mettere in secondo piano la riflessione sul concetto e sulla configurazione giuridica del sistema di rapporti che la nostra Costituzione delinea tra centro e periferie del Paese.

Cosa è, dunque, il regionalismo differenziato (o asimmetrico)? Ci troviamo nel campo dei tipi di Stato decentrato, che si contrappongono ai modelli unitari perché prevedono un decentramento dei poteri legislativo e amministrativo sul territorio. Gli ordinamenti che non prevedono nessuna forma di distribuzione delle funzioni amministrativa, legislativa ed esecutiva sul territorio sono residuali nelle realtà contemporanee (si tratta tendenzialmente di Stati molto piccoli come le città-Stato di San Marino o il Vaticano) e tipici delle forme autoritarie che tipicamente operano una forte centralizzazione e un corrispondente sacrificio delle asimmetrie territoriali.

Alla luce di questa definizione generale non si può fare a meno di ricordare un dato che si tende a trascurare: il regionalismo differenziato esiste nella nostra Costituzione e nel nostro ordinamento dal 1948 e si manifesta nelle forme di autonomia rafforzata riconosciute alle cinque Regioni speciali, non a caso ma in ragione di specifici fattori geografici, storici, economici e culturali che rendevano alcune porzioni del territorio italiano diverse, particolari, speciali e dunque bisognose e meritevoli di una autonomia maggiore e orientata in settori specifici.

L'articolo 116, terzo comma, della Costituzione - aggiunto ormai più di vent’anni fa con la riforma del Titolo V della Costituzione, relativo all’organizzazione dei rapporti tra Stato, Regioni ed Enti locali - prevede la possibilità di attribuire «forme e condizioni particolari di autonomia» alle Regioni a statuto ordinario, ferme restando le particolari forme di cui godono le Regioni a statuto speciale.  La sfera delle materie nelle quali possono essere riconosciute forme di autonomia rafforzata è stabilita dal terzo comma dell’art.117, che indica le materie di competenza legislativa concorrente, e dal secondo comma dello stesso articolo, che comprende spazi di ampio respiro, quali organizzazione della giustizia di pace, norme generali sull'istruzione, tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali.

L’autonomia differenziata non è un taboo e può essere una risorsa se intesa in un contesto in cui i diritti fondamentali siano garantiti in modo uniforme, a tutti e tutte sull’intero territorio nazionale. La nostra forma di Stato riconosce e valorizza l’autonomia prevedendo il decentramento delle funzioni amministrativa e legislativa (non giudiziaria) sul territorio ma la differenziazione deve essere rispettosa del principio solidaristico che ispira la Costituzione e deve manifestarsi nell’ambito della Repubblica che, secondo quanto chiarisce l’art. 5 Cost., è una e indivisibile.