La Costituzione prêt-à-porter

Pensieri su diritti, istituzioni e vita quotidiana 

 

Chi sono 

Carla Bassu, sassarese, studio e insegno il diritto pubblico comparato. Figlia, sorella, moglie e mamma orgogliosa, inseparabile dal fedele Fiji. Sportiva praticante, credo nel valore dello sport come terreno di miglioramento e sana competizione con sé stessi, prima che con gli altri. Globe-trotter precoce e lettrice vorace, conservo e coltivo la curiosità dell’infanzia. Militante delle libertà fondamentali e appassionata sostenitrice delle battaglie per le pari opportunità, aspiro a crescere mia figlia libera dagli stereotipi e consapevole che tutto si può fare.



La specialità dell'essere isola

75 anni fa, nella cornice della neonata Costituzione, il percorso della Repubblica italiana si avviò con l’approvazione degli Statuti delle Regioni speciali, dando vita a un modello di autonomia differenziata giustificato dal riconoscimento di peculiarità territoriali che esigevano di essere considerate. La premura con cui furono approvate le prime quattro leggi costituzionali, tra cui lo Statuto sardo, dimostra l’esigenza di riconoscere subito e valorizzare specificità annichilite dal centralismo esasperato del regime fascista. In quel contesto, l’insularità giocò un ruolo determinante, perché individuato come fattore geopolitico sufficiente a legittimare forme accentuate di autodeterminazione e sostegno: un plus di specialità nell’ambito delle Regioni a Statuto differenziato.

Nel testo originale della Costituzione del 1948 era previsto un riferimento esplicito alle isole, rimasto sostanzialmente lettera morta per poi essere rimosso dalla riforma del 2001. Con la legge costituzionale n. 2 del 2022, approvata da una maggioranza ampia e trasversale, a Camere sciolte, si ottiene l’inserimento di un nuovo richiamo alla insularità nell’art. 119 della Costituzione: un traguardo importante che non può ritenersi di per sé sufficiente ad assicurare un miglioramento delle condizioni di vita nelle isole.

Per trasformare l’essere isola da condizione sfavorevole in opportunità occorre infatti un’azione sistematica, da attuarsi con interventi puntuali e inseriti in un piano strategico in cui l’insularità diventa parametro di legittimità per le leggi, per i provvedimenti amministrativi e per i regolamenti.  È una “differenza potenziata” che deve essere tenuta in considerazione anche con riguardo alle isole più piccole di cui la Sardegna è costellata.

Nella cornice dell’articolo 3 della Costituzione, l’insularità configura evidentemente un «ostacolo» alla uguaglianza sostanziale, costituendo a tutti gli effetti un limite alla possibilità di piena ed equa partecipazione alla vita lavorativa, economica e sociale in un contesto di parità e competitività non viziata. Vivere in Sardegna – tra i molti lati positivi - comporta uno svantaggio naturale, grave e permanente, che impedisce o rende comunque complicato concorrere ad armi pari con i connazionali continentali. Il primo passo per valorizzare la specificità trasformandola in risorsa è individuare nel dettaglio gli ambiti di penalizzazione e quantificare il costo economico necessario per colmare il gap di opportunità sulla base di calcoli precisi. Diritto allo studio, al lavoro, all’assistenza sanitaria e ai servizi pubblici in generale devono essere assicurati secondo standard uniformi sul territorio nazionale, ma sono difficilmente accessibili per chi vive su un’isola. Il riferimento costituzionale al principio di insularità risulterà efficace nel momento in cui si rivelerà un dispositivo operativo, funzionale ad azioni rivolte a ridurre fino ad annullare le distanze in termini di disponibilità e godimento di diritti fondamentali. Occorre definire correttivi specifici basati sulla insularità da considerare nella determinazione (ancora attesa) dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP), relativi ai diritti che rappresentano gli standard minimi da assicurare su tutto il territorio. Naturalmente, nulla può essere fatto senza investimenti adeguati e, soprattutto, è importante che l’azione non sia limitata al livello nazionale bensì coordinata in ambito dell’Unione europea, dove le isole sono riconosciute – per ragioni fisiologiche ineliminabili - tra le aree più vulnerabili e tutelate nella sfera delle politiche volte alla riduzione del divario tra i livelli di sviluppo delle diverse regioni europee (art. 174 TFUE). In questa ottica occorre agire per adeguare la disciplina in materia di aiuti di Stato, definendo un regime di fiscalità di vantaggio che possa essere riferimento per tutti gli Stati membri e studiando strumenti ad hoc nel quadro della politica di coesione. In Europa esistono già casi di isole capaci di sfruttare il riconoscimento costituzionale della specificità; basti pensare agli arcipelaghi di Spagna e Portogallo, vicini a noi per cultura e impostazione costituzionale, che presentano un modello di regionalismo asimmetrico, in cui il fattore insulare è il perno di un sistema normativo e di agevolazioni premiante. In Italia, già in avvio di legislatura sono state presentate proposte di legge di attuazione del principio costituzionale di insularità e per la creazione di un fondo ad hoc. L’augurio è che la volontà politica sostenga un processo necessario a inverare i principi di eguaglianza ed equità economica e sociale, fino a ora compressi in Sardegna, isola speciale perché grande e lontana dalla terraferma, portatrice di un patrimonio identitario multiforme e di risorse inestimabili e finora ampiamente inespresse.

Con il principio di insularità in Costituzione si riconosce una specificità geopolitica evidente, che non può essere ignorata in un ordinamento in cui le istituzioni pubbliche locali, regionali e statali hanno il dovere e non l’opzione di intervenire per rimuovere gli ostacoli che, limitando la libertà e l’uguaglianza delle persone, impediscono il pieno sviluppo individuale e l’effettiva partecipazione di tutti e tutte all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Settantacinque anni non sono bastati per ottenere il risultato ma confidiamo che si possa recuperare il tempo perduto.

*articolo pubblicato nell'Inserto Speciale edito da L' Unione Sarda il 9 marzo 2023, in occasione del 75esimo anniversario dello Statuto Speciale della Sardegna



Carla Bassu, 28 marzo 2023


I costi dell’autonomia differenziata e il miraggio della continuità territoriale

Mentre il percorso dell’autonomia differenziata procede, per ora al di fuori dalle sedi rappresentative, abbiamo ascoltato parole rassicuranti dei promotori della riforma, risoluti nel sedare gli animi preoccupati: «Non ci sarà un’Italia a due velocità, né cittadini/e di serie A e B». Certo, qualche dubbio è sorto di fronte a dichiarazioni sulla prospettiva di differenziare gli stipendi degli insegnanti assunti al nord dove, lo sanno tutti, la vita è più cara.

Ma il Ministro al quale è stata addebitata questa idea ha prontamente smentito, lamentandosi di essere stato frainteso perché, sicuramente, è ben consapevole di quanto costi di più vivere e lavorare al sud e nelle isole e, soprattutto, in certe zone del meridione e dell’Italia insulare, scollegate tanto da risultare irraggiungibili. Chi ha la sventura di trovarsi al di fuori dall’asse privilegiato del tragitto Eurostar sa quanto sia dispendioso in termini di denaro e tempo spostarsi. Il gravame diventa drammatico quando si ha base su un’isola e raggiunge vette insostenibili quando si vive lontano dai centri principali. Solo chi vive nell’Italia remota sa cosa comporta la volontà di non voler rinunciare a opportunità di lavoro oltremare in termini di oneri economici, di tempo (sottratto al lavoro e alla famiglia) e di qualità della vita. Per non parlare di chi è costretto a spostarsi non per voglia di miglioramento personale ma per necessità. Quanto costa il diritto alla salute di un sardo, di un siciliano, di un calabrese della Sila? Chi lavora sull’isola dovrebbe forse godere di retribuzione rafforzata perché nel caso in cui sfortunatamente si ammali dovrà spendere cifre enormi per ricevere cure adeguate? E che dire del diritto di voto e di ricongiungimento familiare di chi lavora altrove e non può permettersi di sostenere le cifre necessarie per tornare a casa ed esercitare prerogative garantite dalla Costituzione? 

La barriera dell’insularità.

Sardegna, Sicilia e le isole minori sono parte integrante il territorio italiano e la Repubblica ha il dovere di garantire a chi vi abita le stesse opportunità offerte sulla Penisola. Continuità territoriale significa collegamento garantito con l’intero spazio nazionale, come se non ci fosse la frontiera fisica del mare che, grazie alla tecnologia, può essere superata agevolmente e velocemente da una rete di trasporti solida ed efficiente, ma serve la volontà ferma e la determinazione del decisore pubblico a garantire i diritti di tutte e tutti in modo uniforme, come vuole la Costituzione.

Chi risarcisce delle occasioni perdute, del tempo e del denaro perso per la situazione precaria di collegamenti e vie di trasporto? Per chi non ha altro modo che volare per raggiungere in tempi ragionevoli il continente, i piccoli aeroporti sono espressione della capillarità che deve caratterizzare la rete dei trasporti di un’isola affinché possa parlarsi di continuità; sono luoghi necessari alla sopravvivenza del territorio, strumenti della libertà di movimento in ingresso e in uscita, funzionali alla espressione dei diritti alla salute, al lavoro, allo sviluppo delle potenzialità economiche ma anche culturali e sociali di una regione insulare. Senza un investimento massiccio nella continuità territoriale che allinei tutti gli aeroporti isolani agli snodi internazionali e crei una corsia di collegamento sicuro da e per il resto dell’Italia e dell’Europa, il principio di insularità in Costituzione è carta straccia.

 

Carla Bassu, 28 febbraio 2023  

Il regionalismo differenziato che già c'è

Il regionalismo differenziato è protagonista del dibattito pubblico dall’inizio di questa legislatura ma l’intenzione politica che si cela dietro la volontà di attuazione della riforma rischia di mettere in secondo piano la riflessione sul concetto e sulla configurazione giuridica del sistema di rapporti che la nostra Costituzione delinea tra centro e periferie del Paese.

Cosa è, dunque, il regionalismo differenziato (o asimmetrico)? Ci troviamo nel campo dei tipi di Stato decentrato, che si contrappongono ai modelli unitari perché prevedono un decentramento dei poteri legislativo e amministrativo sul territorio. Gli ordinamenti che non prevedono nessuna forma di distribuzione delle funzioni amministrativa, legislativa ed esecutiva sul territorio sono residuali nelle realtà contemporanee (si tratta tendenzialmente di Stati molto piccoli come le città-Stato di San Marino o il Vaticano) e tipici delle forme autoritarie che tipicamente operano una forte centralizzazione e un corrispondente sacrificio delle asimmetrie territoriali.

Alla luce di questa definizione generale non si può fare a meno di ricordare un dato che si tende a trascurare: il regionalismo differenziato esiste nella nostra Costituzione e nel nostro ordinamento dal 1948 e si manifesta nelle forme di autonomia rafforzata riconosciute alle cinque Regioni speciali, non a caso ma in ragione di specifici fattori geografici, storici, economici e culturali che rendevano alcune porzioni del territorio italiano diverse, particolari, speciali e dunque bisognose e meritevoli di una autonomia maggiore e orientata in settori specifici.

L'articolo 116, terzo comma, della Costituzione - aggiunto ormai più di vent’anni fa con la riforma del Titolo V della Costituzione, relativo all’organizzazione dei rapporti tra Stato, Regioni ed Enti locali - prevede la possibilità di attribuire «forme e condizioni particolari di autonomia» alle Regioni a statuto ordinario, ferme restando le particolari forme di cui godono le Regioni a statuto speciale.  La sfera delle materie nelle quali possono essere riconosciute forme di autonomia rafforzata è stabilita dal terzo comma dell’art.117, che indica le materie di competenza legislativa concorrente, e dal secondo comma dello stesso articolo, che comprende spazi di ampio respiro, quali organizzazione della giustizia di pace, norme generali sull'istruzione, tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali.

L’autonomia differenziata non è un taboo e può essere una risorsa se intesa in un contesto in cui i diritti fondamentali siano garantiti in modo uniforme, a tutti e tutte sull’intero territorio nazionale. La nostra forma di Stato riconosce e valorizza l’autonomia prevedendo il decentramento delle funzioni amministrativa e legislativa (non giudiziaria) sul territorio ma la differenziazione deve essere rispettosa del principio solidaristico che ispira la Costituzione e deve manifestarsi nell’ambito della Repubblica che, secondo quanto chiarisce l’art. 5 Cost., è una e indivisibile.

Dalla parte delle bambine: in Afghanistan, Iran, ovunque nel mondo, i diritti delle donne sono diritti umani


È mancata Elena Gianini Belotti che, con il suo «Dalla parte delle bambine», ha contribuito a combattere gli stereotipi odiosi e radicati nella cultura popolare e nel modello pedagogico diffusamente adottato in Italia e altrove. Gianini Belotti era una voce fuori dal coro quando, nel 1973, affermava che la differenza di carattere attribuita tradizionalmente a maschi e femmine non fosse dovuta a fattori innati bensì a condizionamenti culturali subiti nel corso dello sviluppo individuale. Da allora sono stati fatti passi da gigante nella lunga marcia verso la parità di genere ed è chiaro che nessun traguardo professionale o di realizzazione personale può essere legittimamente precluso alle donne per il solo fatto di essere tali. Tuttavia, basta guardarsi intorno per constatare come la piena parità sia lungi dall’essere raggiunta e questa è una sconfitta per l’umanità intera, non solo per le donne.

In questo 2022 segnato dalla guerra, la cronaca continua a riportare vicende di brutale violazione dei diritti delle donne, di repressione violenta ed efferata punizione di chiunque rivendichi la libertà di esprimersi e vivere liberamente. Non ci si può rassegnare né nascondere dietro insostenibili attenuanti di origine pseudo culturale o religiosa alla oppressione femminile. Affermare in via di principio la subalternità della componente femminile della società è un abominio. Ugualmente inaccettabile è la sottomissione delle donne ottenuta in via di fatto tramite la compressione sistematica del diritto di studiare, lavorare, partecipare alla vita pubblica e in generale ad autodeterminarsi, compiendo in libertà scelte che riguardano il proprio corpo o l’espressione della personalità individuale.

Chiudiamo l’anno riportando in calce l’appello promosso e sottoscritto da esponenti del mondo universitario italiano, che denunciano l’inaccettabile silenzio delle istituzioni sulle violazioni ai danni delle donne in Afghanistan e in Iran. L’augurio per il 2023 è che venga meno il bisogno di sollecitare l’intervento a tutela delle donne perché le campagne contro le discriminazioni di genere sono battaglie di civiltà che dovrebbero essere combattute da tutte e tutti, su un fronte comune.

«La notizia diffusa dai telegiornali nazionali che da oggi in Afghanistan le donne non potranno più andare all’università è l’ennesima scandalosa violazione dei diritti fondamentali ai danni delle donne. Si aggiunge alla vergognosa e sanguinaria repressione che il regime dittatoriale iraniano sta attuando colpendo ancora una volta principalmente le donne, torturate e uccise senza alcuna pietà. Condanniamo duramente e senza appello quanto sta accadendo sia in Afghanistan sia in Iran, ma anche il silenzio quasi totale delle Organizzazioni internazionali e sovranazionali e delle Istituzioni tutte che non intervengono in alcuna maniera affinché si ponga fine a questo scempio» (v. Huffinghton Post, Contro l'inaccettabile silenzio delle istituzioni sulle violazioni in Afghanistan e Iran. L'appello-denuncia degli accademici italiani, 22. 12. 2022, in https://www.huffingtonpost.it/esteri/2022/12/22/news/iran_donne_afghanistan-10955148/)

Non si può stare a guardare.

 

Carla Bassu, 28 dicembre 2022

Novembre elettorale ed equilibrio costituzionale negli Stati Uniti d’America

Lo scaglionamento delle elezioni è uno dei celebri e preziosi checks and balances che caratterizzano il modello costituzionale degli Stati Uniti d’America, rendendolo davvero unico e probabilmente irripetibile, come dimostrano gli esiti degenerativi sistematicamente prodotti dai tentativi di esportazione, che hanno condotto a derive presidenzialiste (dall’America Latina in poi).

Le elezioni di mid-term del 2022 si collocano in un momento particolarmente delicato non solo a livello globale (la guerra in Europa; il mondo che tenta di lasciarsi alla spalle una pandemia tragica), ma soprattutto in ambito interno, dove la polarizzazione politica rispecchia una profonda frattura sociale nel Paese, che si riflette anche in un approccio nettamente diverso nei confronti delle istituzioni.

Chi è andato a votare non ha espresso preferenza solo per un partito ma anche per una precisa visione delle istituzioni, dei diritti fondamentali da riconoscere in ambito federale e statale e dell’ordine costituzionale. Ancora, molti statunitensi più che per un partito, un rappresentante, una visione hanno votato contro qualcuno o qualcosa.

Non si può trascurare che il diritto costituzionale statunitense nell’ultimo anno è stato scosso da veri e propri terremoti giuridici, che corrispondono a nette prese di posizione e contrapposizioni in merito alla interpretazione costituzionale:

·      Originalismo v. interpretazione evolutiva della Costituzione federale

·      Rafforzamento dei poteri federali v. autonomia degli Stati anche in temi sensibili su diritti

·      Potere giudiziario v. potere politico.

Cito tre casi, tra i più eclatanti:

1.     la sentenza Dobbs et al. v. Jackson Women’s Health Organization et al, che ha smentito il precedente Roe v. Wadein materia di aborto, negando l’esistenza di un diritto federale alla interruzione di gravidanza;

2.     New York State Rifle&Pistol Association, Inc., et al. v. Bruen, Superintendent of New York State Police, et al., che ha dichiarato incostituzionale una legge dello Stato di New York mirante a limitare la circolazione di fucili e pistole armi;

3.     West Virginia v. EPA, che segna una netta inversione di rotta in materia di cambiamento climatico e politica energetica.

Tutti questi casi si innestano in un preciso filone giurisprudenziale e vanno oltre il merito della vicenda, inserendosi in un discorso attestante una tendenza che incide sull’impianto di separazione dei poteri e sul sistema di ripartizione territoriale delle competenze. Si registra infatti, tendenzialmente, la valorizzazione dell’autonomia degli Stati con una conseguente limitazione del potere federale di intervenire nei confronti delle aziende attive sul territorio. A uno sguardo più attento si riscontrano le conseguenze delle decisioni non solo sul piano squisitamente tecnico del rapporto tra atto politico, amministrativo e giurisprudenziale e sul profilo concreto rispetto delle conseguenze sui diritti delle donne, sul rapporto tra prerogative individuali e sicurezza pubblica e sulla salvaguardia dell’ambiente, ma anche in relazione a interessi politici ed economici locali. Si consideri per esempio il caso della decisione West-Virginia v. EPA (che sanziona la possibilità per l’agenzia federale di imporre alle aziende limiti alle emissioni inquinanti e rimette agli Stati la discrezionalità delle regole). Lo Stato del West Virginia ospita sul suo territorio importanti riserve di carbone: è il secondo produttore a livello nazionale, dopo il Wyoming, impiega nel settore circa 15.000 persone escluso l’indotto e basa sul comparto il capitolo più importante nell’economia locale. Se le restrizioni imposte dall’EPA fossero state effettivamente applicate alle attività legate al carbone, avrebbero assestato un duro colpo alla solidità economica delle imprese e all’equilibrio finanziario dello Stato e chissà se anche di questo ha tenuto conto la Corte Suprema.

Il mutamento degli equilibri interni del Parlamento (meno significativo rispetto alle previsioni che prospettavano una ondata rossa che non si è prodotta) avrà conseguenze sull’atteggiamento della Corte Suprema?.  L’interventismo dimostrato con le ultime decisioni sarà confermato o assisteremo a un self-restraint? Alla base della questione c’è la domanda di quanto le sentenze divisive dell’ultimo anno manifestino una volontà di contrasto o disturbo dell’indirizzo stabilito in sede politica. Ci troviamo di fronte a una fisiologica dinamica relazionale tra giudice/creatore di norme che interagisce in un sistema di Common Law con i rappresentanti politici? A prescindere dalla sensibilità personale rispetto all’oggetto della decisione, convince la lettura dell’intervento della Corte Suprema sulla strategia politica federale statunitense in materia di diritti, sicurezza e ambiente in termini di messaggio politico, da contestualizzare in associazione a pronunce quasi coeve su diritti e temi etici. Ma in un sistema a Costituzione scritta, fortemente ibridato, in cui la statutory law ha acquisito nel tempo un ruolo sempre più pregnante, gli organi rappresentativi assumono un ruolo chiave che dovrebbe essere rivendicato sia in ambito federale che a livello statale. Su quanto accadrà con il nuovo Congresso non possiamo che stare a guardare.
Carla Bassu, 28 novembre 2022