La Costituzione prêt-à-porter

Pensieri su diritti, istituzioni e vita quotidiana 

 

Chi sono 

Carla Bassu, sassarese, studio e insegno il diritto pubblico comparato. Figlia, sorella, moglie e mamma orgogliosa, inseparabile dal fedele Fiji. Sportiva praticante, credo nel valore dello sport come terreno di miglioramento e sana competizione con sé stessi, prima che con gli altri. Globe-trotter precoce e lettrice vorace, conservo e coltivo la curiosità dell’infanzia. Militante delle libertà fondamentali e appassionata sostenitrice delle battaglie per le pari opportunità, aspiro a crescere mia figlia libera dagli stereotipi e consapevole che tutto si può fare.



Libertà fondamentali e stato di diritto: i limiti invalicabili di una democrazia

Tutte le democrazie sono diverse per storia, struttura istituzionale e organizzazione costituzionale ma c’è un insieme di elementi che accomuna i sistemi democratici, caratterizzandoli in quanto tali. Si tratta di un nucleo di principi e valori, sintetizzato nella formula evocativa e preziosa ma sfuggente dello stato di diritto, o rule of law, che rappresenta il denominatore comune e il collante delle democrazie stabilizzate. Tecnicamente, siamo di fronte a un sistema di regole e valori che disciplinano l’esercizio del potere pubblico e costituiscono la base imprescindibile per ogni ordinamento che si riconosca nella formula costituzionale democratico-liberale. Principio di legalità; separazione dei poteri; indipendenza dei giudici; riconoscimento dei diritti individuali sono i pilastri dello stato di diritto, le colonne che tengono in piedi ogni edificio democratico e che, per questo, devono essere presidiate e salvaguardate perché la loro solidità garantisce la base stabile di ogni democrazia.

C’è un contenuto essenziale dello stato di diritto che in quanto tale deve essere presidiato e protetto da smussamenti ed erosioni che possono comprometterne la pienezza. Il nucleo minimo della democrazia corrisponde a un limite che non può essere oltrepassato a meno di accettare di compiere un passo indietro nel percorso del costituzionalismo liberale. Non esiste uno stato di diritto à la carte e il complesso delicato di principi, valori, pesi e contrappesi propri del costituzionalismo deve essere applicato e rispettato nel suo insieme per dare vita e forma a un modello di democrazia sostanziale. Nel “pacchetto base” della democrazia i diritti delle persone sono l’anima più profonda, il fulcro del patrimonio costituzionale democratico da cui si innerva l’impianto istituzionale vocato al riconoscimento, alla salvaguardia e al rispetto delle libertà individuali e collettive. È doveroso presidiare i diritti e assicurare il mantenimento dell’equilibrio che può essere garantito solo dal bilanciamento di prerogative e interessi frutto di una ponderazione rigorosa e attenta a conservare intatta l’integrità democratica.

Il panorama comparato offre diversi esempi di esperienze in cui il processo di transizione verso un modello costituzionale liberal democratico si è interrotto o è regredito, dando vita a forme di democrazia incompiuta o “illiberale”. La tesi che si sostiene in questo libro è che anche le cosiddette democrazie consolidate non siano al riparo da ipotesi di regressione costituzionale i cui primi sintomi si manifestano nella riconsiderazione in senso restrittivo dei diritti individuali e in uno sbilanciamento dell’equilibrio tra poteri pubblici.

L’analisi in prospettiva comparata di casi concreti mette in luce l’esistenza di un parallelismo tra la riconsiderazione dei principi del costituzionalismo liberale – a partire dai diritti fondamentali – e la crisi della fiducia nei meccanismi tradizionali della democrazia rappresentativa, che si traduce in un marcato astensionismo elettorale e corrisponde a un affidamento fideistico verso figure di leader carismatici sovranisti. Questa tendenza è favorita dalla manipolazione strumentale delle informazioni e dalla disintermediazione mediatica consentita dall’imperare dei social media, diventati il principale veicolo di comunicazione politica.

Per preservare la democrazia scongiurando la possibilità di regressione costituzionale occorre intervenire per ripristinare il legame di fiducia tra cittadinanza e classe decidente, procedendo a una alfabetizzazione democratica che consegni alle persone gli strumenti per decodificare informazioni e messaggi politici e trasmettere le proprie istanze in modo trasparente. Occorre perfezionare nuove forme di partecipazione, coerenti con l’attuale società digitalizzata, che sappiano sfruttare e non si lascino sovrastare dalle potenzialità della tecnologia, che è una risorsa inestimabile ma deve essere soggetta a regole attente. A ciò si deve associare una rivitalizzazione del ruolo dei canali di mediazione politica, partiti e movimenti – più o meno tradizionali – che da tempo non sembrano in grado di raccogliere e veicolare le esigenze della collettività e hanno alimentato la delusione diffusa alla base dell’astensionismo.

 Carla Bassu, 28 settembre 2024 

Il senso della cittadinanza

Il dibattito acceso a seguito delle esternazioni di un parlamentare europeo riguardo alla differenza evidente e sostanziale tra le nozioni di «accoglienza» e «cittadinanza» è occasione buona per interrogarsi sul significato di termini importanti, sui quali forse occorre fare chiarezza.

Nel contesto della nostra democrazia il concetto di accoglienza si lega all’articolo 10 della Costituzione, nella parte in cui afferma che la persona straniera alla quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite in Italia, ha diritto di asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge.

Evidentemente, la categoria dell’accoglienza non riguarda chi nasce o vive abitualmente in una società in cui è pienamente integrato perché si accolgono gli estranei, non chi è già parte della stessa comunità.

Diverso è il significato di cittadinanza che, in senso tecnico giuridico, indica la titolarità dei diritti politici ossia la possibilità di votare o candidarsi alle elezioni e, insieme alla piena libertà di movimento sullo spazio nazionale e dell’Unione europea, è l’unica prerogativa che è riservata ai cittadini e alle cittadine, non a ogni individuo presente sul territorio. Infatti, tutti i diritti civili - come la libertà di manifestazione del pensiero e di religione - e sociali - come il diritto alla salute e alla istruzione - spettano all’essere umano in quanto tale, senza distinzione dettata dalla nazionalità attestata dai documenti. A questo punto il ragionamento si concentra sul criterio in base al quale assegnare la cittadinanza e i diritti che ne conseguono. La questione di fondo è semplice: chi ha diritto a partecipare attivamente alla vita pubblica italiana?

1)   Chi è figlio di genitori italiani ma vive stabilmente all’estero e magari vi è sempre vissuto;

2)   Chi nasce in Italia o ci abita sin dalla tenera età; padroneggia l’italiano come madrelingua, frequenta le scuole dell’obbligo con profitto, cresce immerso nella società italiana con i riferimenti culturali che tale ambiente trasmette

La razionalità imposta a chi ragiona in termini di diritto rende la domanda quasi oziosa perché pare logico che chi vive sul territorio, partecipa alla vita della comunità e contribuisce ad arricchirla con il proprio lavoro, con lo studio o con l’impegno sportivo debba avere possibilità di scegliere da chi farsi rappresentare nelle istituzioni oppure di impegnarsi attivamente, candidandosi a una carica politica. Oggi, al contrario, persone che hanno ottenuto la cittadinanza per legami di ascendenza, trascorrendo la vita lontano dal suolo italiano possono votare mentre chi è cresciuto qui deve assistere da spettatore al circuito della democrazia.

La cittadinanza non è una gentile concessione offerta a chi risponde a presunte caratteristiche somatiche (sic!), culturali o tradizionali arbitrariamente stereotipate bensì una fredda categoria del diritto, uno status giuridico al quale corrispondono diritti e doveri.

Il problema è che attualmente, nel nostro Paese, esiste uno sbilanciamento che mina l’equilibrio perfetto tra i diritti e i doveri alla base del costituzionalismo, perché moltissime persone che hanno vissuto tutto o gran parte del loro tempo in Italia, lavorando e pagando le tasse o studiando e crescendo nel rispetto dei valori costituzionali sono discriminate.

Lo Stato ha il dovere di colmare il divario tra diritti e doveri che penalizza soprattutto i cosiddetti italiani di seconda generazione e che offende il principio di eguaglianza sul quale si incardina l’impianto costituzionale.

La cittadinanza deve essere riconosciuta, non concessa, a chi è italiano per aver assorbito i principi, i valori, la lingua e la cultura di questo Paese, pur associandoli a retaggi provenienti da tradizioni diverse, come già accade nella maggior parte delle nostre famiglie, frutto di commistioni variegate che arricchiscono l’identità individuale e hanno ben poco a che fare con il diritto di voto, che attiene principalmente al legame viscerale e concreto con l’ordinamento, dimostrato dalla presenza effettiva e costante sul territorio e dal rigoroso rispetto delle regole.

 

Carla Bassu, 23 agosto 2024

Proposte di premierato: perplessità

Premessa; 1. Obiettivi della riforma; 2. Soluzioni individuate nei progetti di legge; 3. Criticità; 4. Osservazioni conclusive

 

Premessa. 

C’è una questione di fondo che mi preme porre a presupposto del ragionamento che oggi vi sottopongo: quando si procede per modificare la Costituzione che – non ci si stanca di ribadire -  è il cuore pulsante di un ordinamento, dal momento che contiene il nucleo di principi, valori, diritti, doveri e regole di vita costituzionale, bisogna essere sicuri che ciò sia più che necessario, indispensabile. Ebbene in Italia, a mio parere, la situazione richiede un intervento di razionalizzazione della forma di governo formulato alla luce della specificità del sistema politico e della cultura istituzionale.

In questa ottica, lo scopo del presente contributo è:

1.  individuare gli obiettivi che si intende conseguire con la riforma;  

2.  identificare le soluzioni individuate dai due disegni di legge in esame per conseguire queste finalità e, infine,

3. segnalare gli aspetti che, a parere di chi scrive, presentano criticità.

 

1.     Obiettivi della riforma.

Cosa si vuole ottenere con la riforma del sistema di governo? Le finalità sono dichiarate nei due progetti di legge, sono sostanzialmente sovrapponibili e corrispondono a quanto emerso nel dibattito sulle riforme negli ultimi quarant’anni:

- stabilità dei governi;

- efficienza dei processi decisionali;

- rafforzamento del processo democratico e ricostruzione del legame di fiducia tra governati e governanti attraverso la restituzione all’elettorato di un potere effettivo di scelta degli organi costituzionali;

a questi obiettivi si dovrebbe forse aggiungere la rivitalizzazione dell’incidenza del Parlamento nell’indirizzo politico.

 

2. Soluzioni individuate nei progetti di legge.

Entrambi i testi su cui oggi ci confrontiamo ruotano attorno all’elezione diretta del Presidente del Consiglio: è questo il centro della riforma, il fattore su cui si punta per ottenere gli obiettivi di stabilità e di ricostruzione del legame con l’elettorato.

Proprio nella elezione diretta del Presidente del Consiglio si individua l’elemento di stabilizzazione del sistema; di valorizzazione del principio democratico e di rivalutazione del potere di scelta del popolo e qui sta, a mio parere, una importante criticità.

3.Criticità.

Quello che non torna nelle due proposte e soprattutto nel progetto governativo (A.C. 1951) è il nesso di causalità dato per presupposto tra elezione diretta, stabilità e democraticità - intesa nel senso di rafforzamento autentico del rapporto tra elettorato e persona eletta. Ma soprattutto l’elezione popolare della premiership viene introdotta come una sorta di soluzione universale senza un opportuno corredo di contrappesi indispensabili a conservare l’equilibrio del sistema.

Nello specifico, mi preoccupa il cosiddetto “effetto trascinamento” delle votazioni per il Presidente del Consiglio rispetto alla composizione del Parlamento. Stride l’attribuzione del premio destinato a consentire la creazione di una solida maggioranza in Parlamento sulla base di voti espressi per eleggere un altro organo costituzionale, per di più un organo monocratico in cui l’elemento personalistico, le caratteristiche individuali della persona che si vota sono determinanti nella stessa espressione del voto.

Trovo anomalo rispetto al sistema di separazione dei poteri e checks and balances che caratterizzano una democrazia, a prescindere dalla forma di governo, l’allineamento così netto tra due organi costituzionali provenienti entrambi da fonte di legittimazione diretta. E’ una interdipendenza forzata che segna un destino di subordinazione per il Parlamento che, al contrario, dovrebbe essere rivitalizzato con dispositivi capaci di restituire centralità ed efficienza a un organo depauperato.

Questo vale a maggior ragione nel momento in cui non è chiara la formula elettorale con cui si voterà; si tratta di una questione macroscopica perché il sistema elettorale può davvero fare la differenza, tenuto conto che in assenza di correttivi adeguati c’è davvero il rischio che una minoranza relativa legittimi premier e compagine parlamentare, che saranno a loro volta chiamati a esprimere tra l’altro Presidente della Repubblica e giudici costituzionali, con un forte potenziale di sbilanciamento del sistema.

A questo proposito, l’art. 5 del ddl Meloni Casellati stabilisce che «La legge disciplina il sistema per l’elezione delle Camere e del Presidente del Consiglio, assegnando un premio su base nazionale che garantisca una maggioranza dei seggi in ciascuna delle Camere alle liste e ai candidati collegati al Presidente del Consiglio, nel rispetto del principio di rappresentatività e di tutela delle minoranze linguistiche». Anche alla luce della giurisprudenza costituzionale pregressa in materia mi chiedo se un premio possa essere tale da garantire una maggioranza assoluta dei seggi o se sia opportuno calibrare un premio capace al massimo di favorire, o agevolare la formazione di una maggioranza.

Continua a non convincermi, con riferimento al d.d.l. 1921, che il Presidente del Consiglio eletto direttamente debba ottenere la fiducia iniziale del Parlamento e riceva poi il conferimento dell’incarico dal Presidente della Repubblica. Si tratta di una dinamica irrazionale: intanto elezione e fiducia iniziale sono percorsi di legittimazione paralleli, diversi, che non possono essere sommati e poi trovo destabilizzante conservare in capo al Presidente della Repubblica la prerogativa di conferire l’incarico, è un potere privo di contenuto, del tutto simbolico, che svuota di significato il ruolo del Capo dello Stato in questo frangente.

Ancora, trovo irrazionale nel quadro generale di obiettivi del disegno di legge governativo – nonostante i correttivi introdotti – la figura del secondo premier non eletto, che si pone in contraddizione con l’obiettivo dichiarato di valorizzare il potere di scelta all’elettorato perché di fatto consente ai partiti di superare il voto popolare che ha una valenza intuitu personae.

Nello stesso senso trovo anomala e problematica la previsione di cui all’art. 7 del ddl governativo che modifica l’art. 94 della Costituzione prevedendo un regime differenziato in caso di revoca della fiducia mediante mozione motivata – a fronte della quale il Presidente del Consiglio eletto deve rassegnare le dimissioni e il Presidente della Repubblica deve sciogliere le Camere - e negli altri casi di dimissioni. Nei casi di dimissioni che non siano la mozione di sfiducia motivata il/la Presidente del Consiglio eletto/a, entro sette giorni e previa informativa parlamentare, ha facoltà di richiedere lo scioglimento delle Camere al Presidente della Repubblica che lo dispone. Qualora il Presidente del Consiglio eletto non eserciti tale facoltà, il Capo dello Stato conferisce l’incarico di formare il Governo, per una sola volta nel corso della legislatura, al Presidente del Consiglio dimissionario o a un parlamentare eletto in collegamento con il Presidente del Consiglio. Questa ultima dinamica si produce anche nei casi di decadenza, impedimento permanente o morte del Presidente del Consiglio eletto.

Non mi soffermo su aspetti problematici che sono stati già affrontati da interventi che mi hanno preceduta e che condivido nella sostanza:

I.)             la possibilità di creazione di maggioranze eterogenee nelle due Camere

II.)           la questione del voto degli italiani all’estero, che si presta a effetti distorsivi che occorre considerare e correggere

Da ultimo, in sintesi, registro l’assenza di interventi di razionalizzazione del modello di bicameralismo e di correzione di pratiche patologiche come l’abuso di decretazione d’urgenza e maxiemendamenti che hanno contribuito, nel tempo, a ridurre fino a umiliare il ruolo del Parlamento che dovrebbe essere rinvigorito.

4.     Considerazioni conclusive

In estrema sintesi, a mio modo di vedere e alla luce del diritto comparato, il punto debole della proposta così come ora formulata è l’investimento totale sulla elezione diretta come strumento di stabilizzazione del sistema, promozione della governabilità e rafforzamento del principio democratico in assenza di contrappesi adeguati a garantire l’equilibrio tra poteri costituzionali.

Rilevo l’assenza di interventi di razionalizzazione del modello di bicameralismo, anche per garantire capacità rappresentativa dei territori a livello centrale, e di correzione di pratiche patologiche come l’abuso di decretazione d’urgenza e maxiemendamenti che hanno contribuito, nel tempo, a ridurre fino a umiliare il ruolo del Parlamento che dovrebbe essere rinvigorito.

I problemi ormai radicati nella forma di governo italiana possono essere superati con riforme che riescano a razionalizzare i rapporti tra Governo e Parlamento (come peraltro già auspicato in sede costituente – v. ordine del giorno Perassi), favorendo l’azione dell’organo esecutivo e salvaguardando il ruolo cruciale del Parlamento, senza dunque compromettere l’equilibrio dei poteri che resta priorità e requisito imprescindibile in una democrazia.

Tutto questo deve essere fatto tenendo conto del particolare tessuto istituzionale, politico e culturale italiano, che bisogna leggere e interpretare per elaborare norme adeguate al contesto, così da ridurre al minimo il rischio di distorsioni e sorprese spiacevoli in fase di applicazione.

Carla Bassu, 29 luglio 2024[1]

 



[1] Il testo riproduce il contenuto dell’audizione tenuta di fronte alla  I Commissione Affari Costituzionali della Camera dei deputati il 18 luglio 2024, nell’ambito dell’esame in sede referente dei progetti di legge costituzionali C. 1354 Boschi e C. 1921 Governo, approvato, in prima deliberazione del Senato, in materia di modifiche alla Parte II della Costituzione

 



Sull’inserimento automatico del cognome maritale per le donne sposate: l’appello di Noi Rete Donne 

Si riporta di seguito l’appello rivolto dall’Associazione Noi Rete al Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e alla Ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari Opportunità, Eugenia Roccella: 

La ricorrente prassi dell’inserimento d’ufficio del cognome coniugale nelle tessere elettorali e nelle liste delle elettrici comporta la violazione dei principi di non discriminazione e di rispetto dei dati personali.
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Il network Noi Rete Donne vuole segnalare alla vostra cortese attenzione il frequente abuso dell’inserimento del cognome maritale per le donne coniugate nelle tessere elettorali e/o nelle liste affidate ai Presidenti di seggio, che ha già suscitato numerose proteste in passato, a cui si sono aggiunte, nei giorni immediatamente successivi, a quelle verficatesi nelle ultime elezioni europee.

Probabilmente la prassi in questione, che si appalesa lesiva della dignità delle donne e del rispetto della loro privacy, nasce da una erronea interpretazione dell’art. 143-bis del codice civile. Tale norma è stata introdotta nel nostro ordinamento dall’art. 25, della L. 19 maggio 1975, n. 151, contestualmente alla soppressione dell’art. 144 sulla “potestà maritale”, che concerneva anche il cognome delle donne coniugate.

Il 143-bis, ancora presente nel nostro ordinamento, dispone che “la moglie aggiunge al proprio cognome quello del marito e lo conserva durante lo stato vedovile, fino a che passi a nuove nozze”. È da notare come proprio l’abolizione della “potestà maritale” ha reso l’art. 143-bis atto semplicemente a consentire alle donne di poter essere collegate ai propri figli tramite un cognome comune, anche in considerazione che la riforma del 1975 non ha inteso estendere il suo intento riformatore anche a una modifica dell’attribuzione patrilineare del cognome ai figli.
A riguardo il Consiglio di Stato, nel parere n. 1746/97 del 10 dicembre 1997, ha chiarito che: “ai fini dell’identificazione della persona vale esclusivamente il cognome da nubile”.
Anche la giurisprudenza civile e la dottrina hanno poi chiarito che l’art. 143-bis va correttamente interpretato nel senso che trattasi di facoltà della moglie di aggiungere il cognome del marito al proprio e non invece di un obbligo.
Peraltro, a conferma di questo indirizzo interpretativo, si segnala che i dati presenti nella CIE (carta d’identità elettronica) non contemplano aggiunte di cognome a quello risultante dall’atto di nascita del soggetto di cui attesta l’identità.

Infine il DPR dell’8 settembre 2000 n. 299 (ultimo aggiornamento del 21/03/2023), con riferimento alle caratteristiche della tessera elettorale, dispone all’art. 2, co. 2, lett. a) che il nome e cognome delle donne coniugate può essere seguito dal cognome del marito.
L’utilizzo del termine «può» - come innanzi precisato - indica una facoltà e non un obbligo.
Trattasi quindi di una facoltà esercitabile unicamente dalle donne interessate, che dovrebbero manifestare espressamente il loro consenso e non può essere invece un’autonoma scelta dell’Ufficio preposto, le cui competenze e funzioni sono espressamente previste dalla normativa specifica in materia.

​Ingiustificabile, poi, che del citato DPR non si tenga conto, benché l’art. 2 sia riportato nelle pp. 204-205 delle “Istruzioni per le operazioni degli uffici elettorali di sezione” n. 14, pubblicate nel 2012 e relative alle “elezioni comunali, provinciali e regionali”.
Certamente ci si rende conto che sarebbe complesso per l’Ufficio competente interrogare tutte le donne italiane coniugate presenti in un dato territorio, per sapere se gradiscano o meno che il loro stato civile venga incrementato dal cognome maritale.
Si è del parere che, con riferimento a quanto disposto dalle norme in materia, sia più appropriato il non inserire affatto il cognome maritale nelle tessere elettorali e negli elenchi di qualsiasi destinazione relativi alle elettrici, ed inserirlo, invece, nelle liste delle candidate ed esclusivamente ai nomi di quelle che abbiano espressamente manifestato l’interesse a essere individuate dagli elettori e dalle elettrici anche mediante un cognome coniugale, da loro abitualmente utilizzato.

Nell’inserimento d’ufficio del cognome coniugale nelle tessere e/o nelle liste delle elettrici ravvisiamo dunque due generi di violazioni: una relativa al divieto di discriminazione, un’altra relativa alla protezione dei dati personali.

In merito al divieto di discriminazione citiamo la normativa che nella specie viene violata:
A - Costituzione della Repubblica italiana:
Articoli 2, 3, 22
“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”

B – CEDU (Convenzione EDU):
Articolo 14 «Divieto di discriminazione».
«Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni altra condizione».

C – Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (CEDAW):
Articolo 1
Nell’art. 1, il testo definisce come «discriminazione contro le donne (…) ogni distinzione, esclusione o limitazione effettuata sulla base del sesso e che ha l’effetto o lo scopo di compromettere o nullificare il riconoscimento, il godimento o l’esercizio da parte delle donne, indipendentemente dal loro stato civile e sulla base della parità dell’uomo e della donna, dei diritti umani e delle libertà fondamentali nel settore politico, economico, sociale, culturale, civile, o in ogni altro settore».
La Convenzione impegna gli Stati a eliminare tutte le forme di discriminazione esistenti.

In merito al mancato rispetto della vita privata e dei dati personali delle persone, che risultano violati dall’inserimento d’ufficio del cognome coniugale ci riferiamo a:

D– CEDU (Convenzione EDU)
Articolo 8 «Diritto al rispetto della vita privata e familiare».
Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza.
Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui».
Rileviamo in proposito come l’inserimento del cognome coniugale nelle tessere e nelle liste elettorali NON rientri in nessuna delle situazioni contemplate dal comma 2 dell’articolo, le uniche che possano giustificare l’«ingerenza di una autorità pubblica» nell’esercizio del diritto di cui al comma 1.
Ingerenza che risulta pertanto abusiva.

E – Carta dei Diritti Fondamentali dell’UNIONE EUROPEA:
Articolo 8 «Protezione dei dati di carattere personale».
1. Ogni persona ha diritto alla protezione dei dati di carattere personale che la riguardano.
2. Tali dati devono essere trattati secondo il principio di lealtà, per finalità determinate e in base al consenso della persona interessata o a un altro fondamento legittimo previsto dalla legge. Ogni persona ha il diritto di accedere ai dati raccolti che la riguardano e di ottenerne la rettifica».
3. Il rispetto di tali regole è soggetto al controllo di un'autorità indipendente».
Poiché nella specie non esiste alcun dato normativo che giustifichi l’inserimento da parte degli Uffici competenti del cognome maritale in tessere elettorali e in liste delle elettrici, senza il consenso delle dirette interessate, aventi infatti le norme in materia l’unica finalità legittima quella di garantire alle cittadine l’esercizio del diritto al voto. Ne consegue che la prassi adottata dagli Uffici amministrativi è passibile di reclamo al Garante della Privacy, ai sensi dell’articolo 8 comma 3 innanzi citato, ove non sia stato manifestato un consenso esplicito dalle cittadine interessate.

​Conseguentemente a quanto esposto, chiediamo al Ministro dell’Interno di voler eliminare la possibilità del ripetersi delle violazioni lamentate, emanando in tempo utile – ovvero col necessario anticipo rispetto a qualsiasi genere di elezioni – una circolare che escluda l’inserimento d’ufficio del cognome maritale dalle tessere elettorali e dalle liste delle elettrici.

​Qualora detta misura dovesse apparirgli insufficiente e quindi non passibile di adozione immediata, chiediamo al Ministro dell’Interno e alla Ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari Opportunità di presentare al più presto in Consiglio dei Ministri una Proposta per un DPR che risolva definitivamente la questione, nel rispetto delle normative nazionali e internazionali esistenti.

​Ringraziamo per l’attenzione e porgiamo distinti saluti.
Noi Rete Donne


Riferimenti giurisprudenziali e normativi:

[1] Parere n. 1746 del 10 dicembre 1997 del Consiglio di Stato

[2] DPR dell’8/09/2000 n. 299, art. 2 comma 2 - https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.del.presidente.della.repubblica:2000-09...

[3] “Istruzioni per le operazioni degli uffici elettorali di sezione” n. 14/2012, pp. 204-205 -https://www1.interno.gov.it/mininterno/export/sites/default/it/assets/files/23/9991_Istruzioni_uffic...

[4] Costituzione della Repubblica italiana, entrata in vigore il 1º gennaio 1948 -https://www.senato.it/istituzione/la-costituzione

[5] CEDU, firmata il 4/11/1950, ratificata dall'Italia con legge 4/08/1955 n. 848 https://presidenza.governo.it/CONTENZIOSO/contenzioso_europeo/documentazione/Convention_ITA.pdf

[6] Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (CEDAW), del 18/12/1979, ratificata dall’Italia con legge 14/03/1985, n. 132 - https://www.giustizia.it/cmsresources/cms/documents/CEDAW.pdf

[7] Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, entrata in vigore con il trattato di Lisbona l’1/12/2009 - https://www.europarl.europa.eu/charter/pdf/text_it.pdf

[8] Garante della Privacy, autorità amministrativa indipendente istituita con legge 31/12/1996, n. 675, disciplinata e modificata da provvedimenti legislativi successivi - https://www.garanteprivacy.it/
 

Votare per decidere. L’occasione imperdibile delle elezioni cittadine ed europee

Si avvicina il weekend elettorale che attirerà alle urne per rinnovare le amministrazioni di molte città italiane e il Parlamento europeo.

Nei Comuni chiamati al voto la partecipazione è palpapile, tante le liste in competizione e le iniziative di confronto tra candidati e candidate richiamano moltissime persone animate da interesse autentico ad ascoltare per scegliere con cognizione di causa. È rinfrancante registrare l’impegno di giovanissime/i che si mettono in gioco candidandosi per lavorare e cambiare per il meglio, sono una speranza in controtendenza rispetto al trend nazionale di attenzione alla politica e meritano massimo sostegno e fiducia.

Alla base della partecipazione capillare alla competizione elettorale comunale vi è la percezione da parte delle persone dell’importanza del proprio voto e la consapevolezza delle funzioni spettanti a chi guida la città.

Diversa è la situazione per le elezioni europee rispetto alle quali si registra un più tiepido trasporto. Questo perché, a mio parere, non a tutti è ben chiaro il ruolo effettivo che il Parlamento europeo svolge nella dinamica decisionale e il peso che le scelte prese in Europa hanno sulla vita di ciascuno.

Eppure, tra le critiche principali rivolte alla struttura sovranazionale dell’Ue vi è il deficit di democraticità che renderebbe ancora marginale il ruolo della cittadinanza a favore delle leadership nazionali. Le istituzioni europee restano avvolte in un’aura di mistero e fino a quando saranno percepite come luoghi lontani e chiusi, presidiati dai “poteri forti” l’integrazione non riuscirà a fare il salto necessario a completare l’idea originaria di pace, supporto reciproco e promozione del benessere collettivo della comunità.

Il modo più semplice e diretto per varcare la soglia dei Palazzi europei è scegliere con cura e coscienza chi può rappresentare nel modo migliore gli interessi del nostro territorio, portando la nostra voce e le nostre esigenze laddove si decide.

Un’Europa più forte e rappresentativa è una risorsa che potenzia e rende migliore la vita di cittadini e cittadine. Basti pensare ai diritti di cui godiamo in quanto titolari della cittadinanza europea che si associa a quella nazionale: piena libertà di movimento e di stabilimento sullo spazio dell’Unione; protezione diplomatica allargata quando ci troviamo in un Paese extracomunitario; diritto di voto nella città Ue in cui decidiamo di risiedere; accesso a finanziamenti e programmi rivoluzionari come Erasmus o Socrates che hanno letteralmente cambiato la vita di tanti.

La coesione europea è stata cruciale nella fase drammatica della pandemia e il principio di solidarietà può essere fatto valere anche sul piano internazionale solo da istituzioni sostenute da una legittimazione solida.

Da isolana, penso al ruolo determinante che l’Europa può e deve esercitare nel rimuovere gli ostacoli derivanti dall’insularità e garantire i diritti e pari opportunità per cittadini continentali e insulari. È una partita che si gioca tra Strasburgo e Bruxelles e la palla sarà in mano a chi noi assegneremo la maglia l’8 e il 9 giugno.

Perciò è importante informarsi e votare chi ha i requisiti, le competenze e la credibilità per rappresentarci al meglio, al Comune, alla Regione, al Parlamento nazionale e in Europa.

Carla Bassu, 29 maggio 2024