La Costituzione prêt-à-porter

Pensieri su diritti, istituzioni e vita quotidiana 

 

Chi sono 

Carla Bassu, sassarese, studio e insegno il diritto pubblico comparato. Figlia, sorella, moglie e mamma orgogliosa, inseparabile dal fedele Fiji. Sportiva praticante, credo nel valore dello sport come terreno di miglioramento e sana competizione con sé stessi, prima che con gli altri. Globe-trotter precoce e lettrice vorace, conservo e coltivo la curiosità dell’infanzia. Militante delle libertà fondamentali e appassionata sostenitrice delle battaglie per le pari opportunità, aspiro a crescere mia figlia libera dagli stereotipi e consapevole che tutto si può fare.



Sull’inserimento automatico del cognome maritale per le donne sposate: l’appello di Noi Rete Donne 

Si riporta di seguito l’appello rivolto dall’Associazione Noi Rete al Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e alla Ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari Opportunità, Eugenia Roccella: 

La ricorrente prassi dell’inserimento d’ufficio del cognome coniugale nelle tessere elettorali e nelle liste delle elettrici comporta la violazione dei principi di non discriminazione e di rispetto dei dati personali.
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Il network Noi Rete Donne vuole segnalare alla vostra cortese attenzione il frequente abuso dell’inserimento del cognome maritale per le donne coniugate nelle tessere elettorali e/o nelle liste affidate ai Presidenti di seggio, che ha già suscitato numerose proteste in passato, a cui si sono aggiunte, nei giorni immediatamente successivi, a quelle verficatesi nelle ultime elezioni europee.

Probabilmente la prassi in questione, che si appalesa lesiva della dignità delle donne e del rispetto della loro privacy, nasce da una erronea interpretazione dell’art. 143-bis del codice civile. Tale norma è stata introdotta nel nostro ordinamento dall’art. 25, della L. 19 maggio 1975, n. 151, contestualmente alla soppressione dell’art. 144 sulla “potestà maritale”, che concerneva anche il cognome delle donne coniugate.

Il 143-bis, ancora presente nel nostro ordinamento, dispone che “la moglie aggiunge al proprio cognome quello del marito e lo conserva durante lo stato vedovile, fino a che passi a nuove nozze”. È da notare come proprio l’abolizione della “potestà maritale” ha reso l’art. 143-bis atto semplicemente a consentire alle donne di poter essere collegate ai propri figli tramite un cognome comune, anche in considerazione che la riforma del 1975 non ha inteso estendere il suo intento riformatore anche a una modifica dell’attribuzione patrilineare del cognome ai figli.
A riguardo il Consiglio di Stato, nel parere n. 1746/97 del 10 dicembre 1997, ha chiarito che: “ai fini dell’identificazione della persona vale esclusivamente il cognome da nubile”.
Anche la giurisprudenza civile e la dottrina hanno poi chiarito che l’art. 143-bis va correttamente interpretato nel senso che trattasi di facoltà della moglie di aggiungere il cognome del marito al proprio e non invece di un obbligo.
Peraltro, a conferma di questo indirizzo interpretativo, si segnala che i dati presenti nella CIE (carta d’identità elettronica) non contemplano aggiunte di cognome a quello risultante dall’atto di nascita del soggetto di cui attesta l’identità.

Infine il DPR dell’8 settembre 2000 n. 299 (ultimo aggiornamento del 21/03/2023), con riferimento alle caratteristiche della tessera elettorale, dispone all’art. 2, co. 2, lett. a) che il nome e cognome delle donne coniugate può essere seguito dal cognome del marito.
L’utilizzo del termine «può» - come innanzi precisato - indica una facoltà e non un obbligo.
Trattasi quindi di una facoltà esercitabile unicamente dalle donne interessate, che dovrebbero manifestare espressamente il loro consenso e non può essere invece un’autonoma scelta dell’Ufficio preposto, le cui competenze e funzioni sono espressamente previste dalla normativa specifica in materia.

​Ingiustificabile, poi, che del citato DPR non si tenga conto, benché l’art. 2 sia riportato nelle pp. 204-205 delle “Istruzioni per le operazioni degli uffici elettorali di sezione” n. 14, pubblicate nel 2012 e relative alle “elezioni comunali, provinciali e regionali”.
Certamente ci si rende conto che sarebbe complesso per l’Ufficio competente interrogare tutte le donne italiane coniugate presenti in un dato territorio, per sapere se gradiscano o meno che il loro stato civile venga incrementato dal cognome maritale.
Si è del parere che, con riferimento a quanto disposto dalle norme in materia, sia più appropriato il non inserire affatto il cognome maritale nelle tessere elettorali e negli elenchi di qualsiasi destinazione relativi alle elettrici, ed inserirlo, invece, nelle liste delle candidate ed esclusivamente ai nomi di quelle che abbiano espressamente manifestato l’interesse a essere individuate dagli elettori e dalle elettrici anche mediante un cognome coniugale, da loro abitualmente utilizzato.

Nell’inserimento d’ufficio del cognome coniugale nelle tessere e/o nelle liste delle elettrici ravvisiamo dunque due generi di violazioni: una relativa al divieto di discriminazione, un’altra relativa alla protezione dei dati personali.

In merito al divieto di discriminazione citiamo la normativa che nella specie viene violata:
A - Costituzione della Repubblica italiana:
Articoli 2, 3, 22
“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”

B – CEDU (Convenzione EDU):
Articolo 14 «Divieto di discriminazione».
«Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni altra condizione».

C – Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (CEDAW):
Articolo 1
Nell’art. 1, il testo definisce come «discriminazione contro le donne (…) ogni distinzione, esclusione o limitazione effettuata sulla base del sesso e che ha l’effetto o lo scopo di compromettere o nullificare il riconoscimento, il godimento o l’esercizio da parte delle donne, indipendentemente dal loro stato civile e sulla base della parità dell’uomo e della donna, dei diritti umani e delle libertà fondamentali nel settore politico, economico, sociale, culturale, civile, o in ogni altro settore».
La Convenzione impegna gli Stati a eliminare tutte le forme di discriminazione esistenti.

In merito al mancato rispetto della vita privata e dei dati personali delle persone, che risultano violati dall’inserimento d’ufficio del cognome coniugale ci riferiamo a:

D– CEDU (Convenzione EDU)
Articolo 8 «Diritto al rispetto della vita privata e familiare».
Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza.
Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui».
Rileviamo in proposito come l’inserimento del cognome coniugale nelle tessere e nelle liste elettorali NON rientri in nessuna delle situazioni contemplate dal comma 2 dell’articolo, le uniche che possano giustificare l’«ingerenza di una autorità pubblica» nell’esercizio del diritto di cui al comma 1.
Ingerenza che risulta pertanto abusiva.

E – Carta dei Diritti Fondamentali dell’UNIONE EUROPEA:
Articolo 8 «Protezione dei dati di carattere personale».
1. Ogni persona ha diritto alla protezione dei dati di carattere personale che la riguardano.
2. Tali dati devono essere trattati secondo il principio di lealtà, per finalità determinate e in base al consenso della persona interessata o a un altro fondamento legittimo previsto dalla legge. Ogni persona ha il diritto di accedere ai dati raccolti che la riguardano e di ottenerne la rettifica».
3. Il rispetto di tali regole è soggetto al controllo di un'autorità indipendente».
Poiché nella specie non esiste alcun dato normativo che giustifichi l’inserimento da parte degli Uffici competenti del cognome maritale in tessere elettorali e in liste delle elettrici, senza il consenso delle dirette interessate, aventi infatti le norme in materia l’unica finalità legittima quella di garantire alle cittadine l’esercizio del diritto al voto. Ne consegue che la prassi adottata dagli Uffici amministrativi è passibile di reclamo al Garante della Privacy, ai sensi dell’articolo 8 comma 3 innanzi citato, ove non sia stato manifestato un consenso esplicito dalle cittadine interessate.

​Conseguentemente a quanto esposto, chiediamo al Ministro dell’Interno di voler eliminare la possibilità del ripetersi delle violazioni lamentate, emanando in tempo utile – ovvero col necessario anticipo rispetto a qualsiasi genere di elezioni – una circolare che escluda l’inserimento d’ufficio del cognome maritale dalle tessere elettorali e dalle liste delle elettrici.

​Qualora detta misura dovesse apparirgli insufficiente e quindi non passibile di adozione immediata, chiediamo al Ministro dell’Interno e alla Ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari Opportunità di presentare al più presto in Consiglio dei Ministri una Proposta per un DPR che risolva definitivamente la questione, nel rispetto delle normative nazionali e internazionali esistenti.

​Ringraziamo per l’attenzione e porgiamo distinti saluti.
Noi Rete Donne


Riferimenti giurisprudenziali e normativi:

[1] Parere n. 1746 del 10 dicembre 1997 del Consiglio di Stato

[2] DPR dell’8/09/2000 n. 299, art. 2 comma 2 - https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.del.presidente.della.repubblica:2000-09...

[3] “Istruzioni per le operazioni degli uffici elettorali di sezione” n. 14/2012, pp. 204-205 -https://www1.interno.gov.it/mininterno/export/sites/default/it/assets/files/23/9991_Istruzioni_uffic...

[4] Costituzione della Repubblica italiana, entrata in vigore il 1º gennaio 1948 -https://www.senato.it/istituzione/la-costituzione

[5] CEDU, firmata il 4/11/1950, ratificata dall'Italia con legge 4/08/1955 n. 848 https://presidenza.governo.it/CONTENZIOSO/contenzioso_europeo/documentazione/Convention_ITA.pdf

[6] Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (CEDAW), del 18/12/1979, ratificata dall’Italia con legge 14/03/1985, n. 132 - https://www.giustizia.it/cmsresources/cms/documents/CEDAW.pdf

[7] Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, entrata in vigore con il trattato di Lisbona l’1/12/2009 - https://www.europarl.europa.eu/charter/pdf/text_it.pdf

[8] Garante della Privacy, autorità amministrativa indipendente istituita con legge 31/12/1996, n. 675, disciplinata e modificata da provvedimenti legislativi successivi - https://www.garanteprivacy.it/
 

Votare per decidere. L’occasione imperdibile delle elezioni cittadine ed europee

Si avvicina il weekend elettorale che attirerà alle urne per rinnovare le amministrazioni di molte città italiane e il Parlamento europeo.

Nei Comuni chiamati al voto la partecipazione è palpapile, tante le liste in competizione e le iniziative di confronto tra candidati e candidate richiamano moltissime persone animate da interesse autentico ad ascoltare per scegliere con cognizione di causa. È rinfrancante registrare l’impegno di giovanissime/i che si mettono in gioco candidandosi per lavorare e cambiare per il meglio, sono una speranza in controtendenza rispetto al trend nazionale di attenzione alla politica e meritano massimo sostegno e fiducia.

Alla base della partecipazione capillare alla competizione elettorale comunale vi è la percezione da parte delle persone dell’importanza del proprio voto e la consapevolezza delle funzioni spettanti a chi guida la città.

Diversa è la situazione per le elezioni europee rispetto alle quali si registra un più tiepido trasporto. Questo perché, a mio parere, non a tutti è ben chiaro il ruolo effettivo che il Parlamento europeo svolge nella dinamica decisionale e il peso che le scelte prese in Europa hanno sulla vita di ciascuno.

Eppure, tra le critiche principali rivolte alla struttura sovranazionale dell’Ue vi è il deficit di democraticità che renderebbe ancora marginale il ruolo della cittadinanza a favore delle leadership nazionali. Le istituzioni europee restano avvolte in un’aura di mistero e fino a quando saranno percepite come luoghi lontani e chiusi, presidiati dai “poteri forti” l’integrazione non riuscirà a fare il salto necessario a completare l’idea originaria di pace, supporto reciproco e promozione del benessere collettivo della comunità.

Il modo più semplice e diretto per varcare la soglia dei Palazzi europei è scegliere con cura e coscienza chi può rappresentare nel modo migliore gli interessi del nostro territorio, portando la nostra voce e le nostre esigenze laddove si decide.

Un’Europa più forte e rappresentativa è una risorsa che potenzia e rende migliore la vita di cittadini e cittadine. Basti pensare ai diritti di cui godiamo in quanto titolari della cittadinanza europea che si associa a quella nazionale: piena libertà di movimento e di stabilimento sullo spazio dell’Unione; protezione diplomatica allargata quando ci troviamo in un Paese extracomunitario; diritto di voto nella città Ue in cui decidiamo di risiedere; accesso a finanziamenti e programmi rivoluzionari come Erasmus o Socrates che hanno letteralmente cambiato la vita di tanti.

La coesione europea è stata cruciale nella fase drammatica della pandemia e il principio di solidarietà può essere fatto valere anche sul piano internazionale solo da istituzioni sostenute da una legittimazione solida.

Da isolana, penso al ruolo determinante che l’Europa può e deve esercitare nel rimuovere gli ostacoli derivanti dall’insularità e garantire i diritti e pari opportunità per cittadini continentali e insulari. È una partita che si gioca tra Strasburgo e Bruxelles e la palla sarà in mano a chi noi assegneremo la maglia l’8 e il 9 giugno.

Perciò è importante informarsi e votare chi ha i requisiti, le competenze e la credibilità per rappresentarci al meglio, al Comune, alla Regione, al Parlamento nazionale e in Europa.

Carla Bassu, 29 maggio 2024

Fascista è chi fascista fa

Perché nel 2024 qualcuno in Italia fatica ancora a dichiararsi pacificamente antifascista?

E allora il comunismo? Si sente spesso replicare. Che problema c’è ad ammettere che i regimi comunisti, dall’Unione sovietica in poi, hanno fallito nell’ideale dichiarato, avvilendo le libertà individuali e risultando incompatibili con il modello di democrazia costituzionale.

La democrazia, pur imperfetta e piena di contraddizioni, è la migliore tra i sistemi di governo sperimentati finora e si pone in netto contrasto con i dettami del fascismo e del socialismo reale.

Come si pretende di andare avanti e coinvolgere le nuove generazioni nella politica sana, rendendole protagoniste del dibattito pubblico, quando si è ancorati a irragionevoli argomenti ideologici che impediscono di prendere posizione su realtà evidenti, acclarate dalla storia e assunte in forma scritta e vivente dalla nostra Costituzione.

Piaccia o no la Repubblica italiana si fonda sull’antifascismo inteso nel senso di rifiuto netto e radicale di forme di limitazione delle libertà individuali e collettive per ragioni politiche o ideologiche e di intrusione nella vita privata dei singoli.

Il fascismo non ammette pluralismo, si basa sulla omologazione e sugli stereotipi (uomo macho capofamiglia, donna angelo del focolare), confonde l’ordine con l’annichilimento delle differenze e non contempla le libertà di espressione individuale, politica, religiosa, linguistica che colorano la nostra democrazia. Il fascismo è monocolore così come il comunismo che, partendo da presupposti diversi, si è tradotto in forme simili di imposizione e compressione della libertà.

La nostra Costituzione è contraria a ogni regime illiberale sia esso di matrice fascista o comunista. Il sillogismo vuole che se si è democratici e liberali non si può essere fascisti, né sovieticamente comunisti, perché entrambe le categorie si pongono come contraddizione in termini rispetto alla democrazia.

I principi democratici sono chiari e contrastano senz’altro con l’esperienza degli Stati comunisti ma le Costituzioni sono documenti storici e quella italiana è storicamente, profondamente antifascista perché scritta da chi (cattolici, liberali, radicali, comunisti) ha vissuto il fascismo sulla propria pelle e aveva la priorità di salvaguardare l’Italia del futuro.

Buon 25 aprile in un’Italia, libera repubblicana e democratica.

Carla Bassu, 25 aprile 2024

In Italia si può chiudere una scuola per Ramadan? Riflessioni tra identità costituzionale e senso pratico

A Pioltello, provincia di Milano, ha suscitato grande clamore la scelta di un’amministrazione scolastica che - esercitando la discrezionalità consentita per gestire in autonomia alcuni giorni del calendario didattico – ha stabilito la chiusura in occasione della celebrazione della fine del Ramadan, onorata da gran parte degli scolari del comprensorio che è frequentato da una popolazione eterogenea e multietnica.

Chiunque abbia preso parte a un consiglio di istituto sa che tra le sedute più animate vi è quella in cui si deve decidere la distribuzione dei giorni di chiusura liberamente assegnati alla scelta delle scuole, in relazione a esigenze pratiche e contestuali che variano in ogni realtà. Solitamente questi giorni liberi vengono usati per creare ponti tra festività comandate e la discussione può accendersi tra chi preferisce un giorno di vacanza in più a margine di carnevale, Pasqua o tra venticinque aprile e primo maggio. Le valutazioni alla base di queste opzioni sono le più varie e non possono comunque prescindere dal presupposto che prevede il rispetto del tetto minimo di giorni di lezione, che deve essere in ogni caso garantito.

Nel caso di specie, come chiarito dalla dirigenza, la scelta della scuola lombarda è stata dettata da ragioni pratiche e dall’esigenza di razionalizzare l’attività scolastica compromessa di fatto dall’assenza massiccia della componente studentesca di religione musulmana. Tuttavia, vi è chi ha ravvisato nella circostanza una sorta di cedimento di fronte a tradizioni non riconducibili allo sfuggente concetto di “italianità”. Chiudere la scuola in occasione di una ricorrenza non cattolica rappresenterebbe insomma un tradimento della identità nazionale.

Devo ammettere che anche dopo un’attenta ricognizione dei principi e dei valori che esprimono lo spirito della Repubblica e sono raccolti ed esplicitati nella Carta costituzionale non mi è chiaro in che modo questa vacanza imposta contrasti con il patrimonio identitario italiano.

È stato forse violato il principio di laicità dello Stato? La libertà religiosa? Il pluralismo che riconosce a ogni persona il diritto di esprimere opinioni e attitudini nel rispetto altrui?

L’identità del popolo italiano che esercita la sovranità nel rispetto delle forme e dei limiti dettati dalla Costituzione Repubblicana affonda le radici nella cultura liberale che, dalle Rivoluzioni americana e francese in poi, riconosce e rivendica i principi di uguaglianza formale e sostanziale e i diritti civili che devono essere riconosciuti a tutti e tutte, a prescindere dal genere, provenienza etnica o sociale, nazionalità o religione.

La scuola pubblica, in quanto luogo di trasmissione di conoscenza, confronto, crescita e apprendimento nel senso più ampio è un fondamentale strumento costituzionale, manifestazione dello Stato sociale che si fonda su principi condivisi e non derogabili. L’istituto di Pioltello, forse più di tanti altri sul territorio nazionale, è crogiolo di culture, origini, voci, tradizioni e nel promuovere una integrazione basata sulla conoscenza reciproca favorisce l’inclusione risultando – come chiarito dal Presidente Mattarella – in linea con la missione costituzionale.

Chiudere una scuola per un giorno, nel rispetto dei requisiti della normativa vigente, riconoscendo una situazione di fatto (assenza di larga parte degli iscritti) che corrisponde al godimento di un diritto garantito dalla Costituzione (libertà di religione) non comporta nessuna abdicazione o rinuncia al patrimonio tradizionale e culturale che rimane personale, individuale prima che familiare o collettivo e che fino a prova contraria, in Italia, trova pieno riconoscimento e salvaguardia. Il resto è tempesta politica, scatenata in un bicchiere di sensibilità plurale e senso pratico, che niente ha a che fare con l’ideologia.

Carla Bassu, 27 marzo 2024

Combattere l’astensionismo per migliorare la democrazia

Le elezioni regionali sarde della scorsa domenica, 25 febbraio, suscitano ampi e diversi spunti di riflessione ma c’è un aspetto che, tra i tanti, reclama attenzione: la percentuale di persone che non è andata a votare. Quasi la metà dell’elettorato sardo non si è recato alle urne.

Nella democrazia italiana il voto assume le fattezze di un “dovere civico”, non un obbligo vero e proprio perché se così fosse l’astensione non giustificata comporterebbe una sanzione, come accade in Belgio o in Australia per esempio. Si tratta però di un comportamento fortemente raccomandato dall’ordinamento perché sulla partecipazione del popolo alla selezione dei propri rappresentanti si fonda la legittimazione dell’ordinamento istituzionale e del sistema democratico. In realtà il voto è soprattutto un diritto, conquistato con fatica e sangue dalle generazioni che ci hanno preceduto e che hanno lottato per ottenere il potere di contribuire con la propria scelta alla selezione della classe dirigente. Le elezioni, di qualunque ordine e grado, sono il momento di massima espressione del principio democratico e rappresentano la manifestazione plastica del potere che ciascuno ha di influenzare in parte minima ma non ininfluente la qualità e l’indirizzo delle nostre istituzioni. Votando scegliamo chi è chiamato, per un determinato periodo di tempo, a compiere in nostra vece decisioni che hanno un impatto sulla vita di tutti e tutte. Rinunciare al voto significa arrendersi al volere altrui.

La politica altro non è se non riflessione, gestione e decisione sui più diversi ambiti della cosa pubblica e ci riguarda nostro malgrado. Lasceremmo mai che nel condominio in cui viviamo i nostri vicini decidano senza interpellarci sugli spazi comuni? A tutti i livelli, in una realtà democratica, le decisioni sono prese secondo il principio di maggioranza ma la partecipazione deve essere garantita e le minoranze ascoltate e considerate.

Il dato ormai conclamato e tristemente crescente dell’astensionismo elettorale ci dice che molti non sono interessati alla partecipazione politica o, peggio, pensano che il proprio voto non sia davvero rilevante nella determinazione delle decisioni pubbliche. Si tratta di un grande fallimento per la democrazia che non deve essere accettato come un dato di fatto ma dovrebbe essere interpretato come un allarme potente. Alla base dell’astensionismo c’è sicuramente una forte delusione e disillusione, alimentata dalla incapacità dei partiti più e meno tradizionali di raccogliere e veicolare le esigenze della collettività, dando risposte efficaci. Per riportare le persone alle urne occorre intanto riconquistarne la fiducia con comportamenti virtuosi che mostrino l’interesse esclusivo e genuino per il bene comune. Trasparenza e democraticità nella vita interna dei partiti è un primo passo cui dovrebbe associarsi un’opera di sensibilizzazione e formazione civile sin dai primi anni di vita. Bisogna lavorare per dimostrare che la politica non è qualcosa di lontano o altro da noi ma ci riguarda direttamente e perciò dobbiamo rivendicare il nostro ruolo rispetto alle scelte collettive e pretendere un percorso politico lineare e pulito, ricordando il potere grande che risiede nella possibilità di negare il nostro voto a chi non si comporta bene o, semplicemente non ci piace o non ci piace più.

Tutt’atro discorso vale invece per coloro i quali vorrebbero ma non possono votare, perché per esempio costretti fuori sede nell’ impossibilita di sostenere i costi di un viaggio per tornare a casa. Queste persone devono essere messe nelle condizioni di godere del diritto di elettorato attivo e le istituzioni hanno il dovere di agire per rimuovere gli ostacoli che impediscono l’esercizio di una prerogativa fondamentale, lo dice la Costituzione.

 

Carla Bassu, 28 febbraio 2024