Fine fase 1: tempo di bilanci e aspettative

Abbiamo donato 55 giorni di libertà: ci dite cosa ne avete fatto?

di Alessandro Sterpa 

Oggi inizia la 55esima giornata di lockdown, l’ultima prima di questa fase 1,5 o forse meglio diremmo 1,2. Mi perdonerete una riflessione così lunga, ma tanto basta non leggerla nel caso. Scrivo da una posizione privilegiata e sarò un po' netto: abbiamo donato 55 giorni della nostra vita al potere pubblico e adesso mi viene spontaneo chiedere al potere di sapere come ha impiegato questo “nostro” tempo; un tempo che per noi ha rappresentato un grande sacrificio di libertà. 

Abbiamo fatto questo dono per permettere al potere pubblico di assumere adeguate decisioni normative ed organizzative per il bene comune davanti all’emergenza. Adesso deve riferire a tutti noi, incluso il Parlamento che rappresenta la Nazione, come lo ha usato e dobbiamo capire se lo ha usato al meglio. Non capita a tutte le generazioni di dover sacrificare il proprio tempo. Ora il potere deve renderne conto senza coprirsi dietro la cortina di fumo del triste “si deve fare così e basta”. 

Prima di tutto un po' di scuse e un po' di complimenti. Avete disegnato un Paese di furbetti e furbastri dediti a sgattaiolare tra le strade per sfuggire ai divieti e vi siete sbagliati. Eravate talmente ossessionati dalla idea di dover governare un insieme informe di discoli che all’inizio avete addirittura scomodato il diritto penale per chi violava le imposizioni normative. Poi, forse anche perché ci sarebbero stati circa 100.000 procedimenti penali aperti (così i dati fino alla depenalizzazione… altro che riforma della giustizia!), dopo aver sparato quotidianamente i numeri dei “denunciati” a reti unificate, avete correttamente optato per la sanzione pecuniaria. Il primo maggio, su 241.786 persone controllate, sono state elevate 7.000 sanzioni. Fate voi i conti. Per le scuse potete usare anche le dirette social o un semplice comunicato stampa, è indifferente. Magari nel farlo ricordate i rischi dei “ponti festivi” che avete paventato con un approccio semplicemente offensivo, oltre che ridicolo se portato a sostegno di provvedimenti regolatori. 

Avete pensato che fossimo così indisciplinati da costruire la narrazione di un evento ingovernabile se non stando tutti fermi, “tutti a casa”. Proprio quanto a tutti andava chiesto uno sforzo partecipe, avete comunicato l’utilità della sola inerzia finalizzata alla mera attesa. Non riuscirò mai a capire perché non abbiate reso partecipi gli italiani di questa grande battaglia, invocando la generosità di un popolo straordinario che si è sempre – e dico sempre – mobilitato ogni volta che gli è stato chiesto di alzare la schiena e combattere: nel risorgimento, nella resistenza, nella lotta al terrorismo politico, nell’aiuto ai poveri e ai bisognosi, nella solidarietà umana e sociale. Avete trattato il popolo dei Salvo D’Acquisto come il popolo dei Don Abbondio. Avete tradotto(che tristezza) la voglia di fare degli italiani in un freddo numero di conto corrente per le donazioni: chissà perché non pensare a Churchill e De Gaulle, forse troppo presi a pensare a Mao (e ai suoi successori)? Non avete “impiegato” la grandezza di un popolo, non lo avete reso partecipe di una comune impresa, preferendo di fatto impaurirlo come se ci fossero i caccia bombardieri nemici sulle città ad ondate mentre in realtà al posto delle sirene antiaeree nei quartieri risuonava la musica dalle finestre. Ad un certo punto si è avuta addirittura la percezione che l’interpretazione burocratica della regola formale avesse più valore della sostanza applicativa vedendo rincorrere un runner da multare per strada. Avete vietato ai migliori alleati, i cittadini, di sentirsi parte attiva della battaglia: “state a casa, vi daremo un po' di risorse”. Ci fosse stato Luigi Einaudi vi avrebbe tirato le orecchie. E mi fermo al gesto minimo di reprimenda tipico dell’immaginario collettivo. Ci avete lasciati davanti ai bollettini della protezione civile a sentire ogni sera numeri senza uno straccio di narrazione politica che ci desse una visione, per lasciarci a dibattiti surreali dove quattro scienziati dicevano 4 o 5 cose diverse sullo stesso argomento. Poi, da quando i dati eranodivenuti positivi per il trend, si è progressivamente spenta la voce in diretta delle ore 18 (in realtà sempre un po' in ritardo). Avete annunciato e rinviato conferenze stampa come si fa con le visite aiparenti; alcune peraltro connotate da un imbarazzante indeterminatezza concettuale, come è stato per l’ultima, tant’ che in questa nuova fase l’approccio non sembra cambiato di molto.Se penso alle parole di qualche esponente politico del tipo “il liberi tutti ci può far male” o “vi concediamo” piuttosto che “chi ama l’Italia sta a distanza” mi viene da piangere; cari miei, chi ama l’Italia si mette in cammino, fa, lavora, crea, pensa… come il personale medico-sanitario sta facendo da mesi. Andate a dirle in Cina queste cose, non nel Paese di Cattaneo, Mazzini, Garibaldi e Cavour. Forse ad alcuni di voi vedere la bandiera rossa che sventola crea così tanta emozione da permettergli salti di secolo oltre che salti di logica. Nel Paese di Aldo Moro, che faceva lezione all’Università anche durante il periodo degli incarichi politici, l’unico rosso che emoziona è quello del sangue degli uomini e le donne nel quale scorre uno straordinario senso civico. 

Avete usato l’immagine della “guerra” e addirittura pensato ad un Parlamento non in grado di riunirsi in sede. Insomma i dipendenti del supermercato dovevano lavorare tra i banconi e i parlamentari tra i banchi invece no: roba da far impallidire la logica. Con molti colleghi costituzionalisti vi abbiamo insinuato il dubbio della esagerazione di questa posizione e di questa simmetria ingiustificata, così adesso si parla finalmente di centralità del Parlamento e pubblicità, trasparenza e ragionevolezza delle decisioni. Senza scomodare costituzionalisti da battaglia politica che salgono e scendono dalle pagine dei giornali e dai palchi delle piazze in salsa populista: ora si deve tornare ai decreti-legge e a sapere cosa si decide.

Non basta cari miei: chi sono i tecnici delle task force, dove sono i verbali delle riunioni (perché non sono pubblici?), chi li redige, chi li firma e come sono divisi tra loro gli scienziati su posizioni del tutto diverse vista la complessità del tema? E che diamine, passiamo dalle dirette facebook per formare i governi durante le consultazioni tra le forze politiche al non disclosure agreement per i consulenti? 

Abbiamo donato al potere 55 giorni di libertà. Adesso vogliamo sapere tutto e anzi di più.  

Peraltro non sono stati 55 giorni egualmente opprimenti per tutti noi. Le differenze hanno corso su piani tra loro diversi per descrivere i quali si devono usare parole differenti.

C’è chi li ha trascorsi nelle mura di case comode e confortevoli, con spazi dedicabili alle attività di tutti i diversi componenti della famiglia: uno a lavorare, uno a studiare, uno a scrivere, uno a riposare… Sappiamo bene che non è stato così per tutti. In molti hanno dovuto convivere “in famiglia” senza adeguati spazi propri che sono spazi di azione, di pensiero e anche di privacy perché la famiglia non sostituisce l’individualità insopprimibile dell’essere alla quale deve essere garantita la libertà di gestire il proprio tempo. Figurarsi con figli, ancor più complicato se piccoli, che pretendono attenzioni e dedizione, spazi, movimento e luce; ovviamente se non li accomodate ore ed ore in modo irresponsabile davanti ad un computer o uno smartphone. Ancora, c’è stato chi gli affetti li ha vissuti tutti vicini e fisicamente e chi invece non li ha potuti sfiorare per 55 interminabili giorni, dovendo rincorrerli nella costante mediazione di un freddo e gelido schermo, nel suono di una voce o nel rintocco delle parole. 

C’è stato poi chi ha potuto lavorare, come prima o in smartworking, e chi invece ha dovuto smettere o non ha semplicemente di fatto potuto. E qui troviamo altre differenze. C’è chi è stato contento perché alla fine non amando il proprio lavoro si è trovato un reddito da cassa integrazione o da contributo statale senza essere stato costretto a lavorare. Poi c’è chi invece ha continuato a lavorare contento di poterlo fare o preoccupato di doverlo fare. Infine c’è chi ha dovuto fermare il proprio spirito lavorativo,imprenditoriale e professionale, passando i giorni nella crescente preoccupazione di come ricominciare o se riuscire a ricominciare.È stato necessario l’intervento del Presidente Mattarella per ricordare che la Repubblica è fondata sul lavoro e non sul sussidio. 

Ora quindi basta con questa litania del “mero dovere”, o peggiodel “non disturbare il manovratore”, con la quale certa politica paternalista si rivolge ai cittadini della Repubblica italiana con troppa disinvolta e patetica banalità. L’esercizio dell’autorità non è mai fine a stesso, ma è funzionale al miglioramento della vita umana. Il potere pubblico non è legittimato da Dio (o dal comitato centrale del Partito comunista cinese), ma è una scelta politica che nella legalità formale deve avere legittimazione democratica. Ed è sottoposta al controllo democratico e costituzionale. 

Ci sono milioni di persone che dopo questa esperienza non saranno più disposti a tollerare superficialità, sfiducia e impreparazione. Si certo, continueranno ad essere attivi molti tifosi della politica, magari anche dalla politica stipendiati, ma non potranno arginare un sentimento nuovo che questa crisi ha radicato più che nel passato nel Paese. Il valore della nostra libertàe la rilevanza del suo sacrifico temporale. E se per caso si capirà che non avete usato bene la nostra libertà, preparatevi a lasciare il passo ad una nuova classe dirigente, perché non c’è spazio per chi non assume la libertà degli individui come stella polare. Il popolo è sempre avanti, non dovete cantare per farlo spostare, si sposta da solo, si autodetermina e va dove vuole lui. 

Durante la quarantena ho appeso un foglio sul muro della cucina con i numeri dei giorni scritti in tanti cerchietti in fila e ogni mattina, mentre il caffè saliva borbottando, ho barrato con la penna verde la palla del giorno.

Noi abbiamo avuto le palle di rispettare regole così dure per 55 giorni, voi avete avuto le palle per fare quello che serviva? Organizzazione sanitaria adeguata anche per gestire i flussi di contagio e la somministrazione di eventuali vaccini, procedure di sicurezza per tornare a vivere e a convivere con Covid19, tracciabilità delle linee di contagio, app, riorganizzazione dei servizi, sburocratizzazione, accordi internazionali di cooperazione… Uscire con la mascherina protegge dal virus il 4 maggio: mi chiedo ma il 4 aprile non ci avrebbe protetti? O forse è stata dichiarata una emergenza senza approvvigionare di dispositivi di protezione individuale il Paese in tempo? Se si bloccano i voli diretti dalla Cina, un passeggero proveniente da quelle aree poteva arrivare in Italia triangolando da un aeroporto terzo? Ah sì la Cina appunto. Piuttosto che salutare sorridendo gli scatoloni di mascherine aviotrasportate, forse sarebbe stato meglio ricordargli (facciamo ancora in tempo) che avrebbero dovuto mettere il mondo nelle condizioni di capire subito cosa stesse succedendo a casa loro; se davvero avessero voluto essere così altruisti avevano avuto già la possibilità di fare un figurone! 

Perché, vedete, se per caso si capisse che avete utilizzato bene questi nostri 55 giorni chiusi in casa senza libertà, noi saremo solo che contenti. Altrimenti a casa ci deve andare la classe dirigente che non è si è dimostrata all’altezza e della quale ci si libera. E non solo per 55 giorni. 

Questa è la democrazia costituzionale, bellezza. Non in Cinamagari, non in Russia forse, ma da noi funziona così.

 Alessandro Sterpa è Professore associato di Istituzioni di diritto pubblico nell’Università degli Studi della Tuscia

 


App Immuni: risorsa o minaccia?

Il diritto alla salute precede la privacy ma con una App volontaria e garantita

di Tommaso Edoardo Frosini

pubblicato su Il Dubbio del 28 aprile 2020

Nella annunciata programmazione della cd. fase 2 dell’emergenza nulla si dice della applicazione “immuni”, lo strumento tecnologico grazie al quale si possono conoscere, per evitare, luoghi e persone a rischio contagio. Credo che la ritardata previsione della app sia dovuta a problemi di privacy, che debbono essere risolti al fine di evitare violazioni. L’unico vero e concreto problema di privacy è quello del trattamento dei dati sensibili, tra i quali quelli riguardanti la salute delle persone, che non debbono essere portati a conoscenza di terzi, per tutelare la dignità umana ed evitare forme di discriminazione sociale. Come è invece accaduto ripetutamente nel nostro Paese, soprattutto con la pubblicazione, sui giornali e sul web, delle intercettazioni telefoniche, con le quali si portavano a conoscenza, urbi et orbi, dati sensibili come quelli riferiti alle scelte sessuali, che hanno leso la dignità delle persone. Certo, a tutela del trattamento dei dati personali c’è ormai da più di venti anni un ufficio di un’Autorità Garante, anche se talvolta la sola Autorità non basta a garantire appieno tale diritto costituzionale. Peraltro da oltre un anno è in proroga, senza che il parlamento abbia ancora provveduto a nominare i nuovi componenti, anche perché impegnato a trovare il nominativo di un anziano di età, più che una persona competente, a cui affidare la presidenza.

Il problema è che vicende come quelle prima ricordate, e tante altre ancora, hanno svilito il valore della privacy, ridotta ormai quasi a qualche firma di consenso all’uso dei dati da apportare nei vari moduli predisposti da soggetti pubblici e privati. E invece la privacy è un diritto che va preso sul serio nelle situazioni serie. Non la si può invocare come una sorta di alibi per nascondersi o per far prevalere interessi del singolo su quelli della collettività. Anche perché siamo tutti tracciati: quando paghiamo con il bancomat o la carta di credito, quando mettiamo un like su uno dei tanti social network, quando navighiamo sui siti internet. Compiamo queste azioni inconsapevolmente, senza avvertire rischi per la nostra privacy. Che invece la si reclama per una applicazione che avrebbe il merito di provare a contenere la diffusione dei contagi da Covid-19. Ovvero di salvaguardare il diritto fondamentale alla salute.

E invece bastano degli opportuni accorgimenti, delle scelte garantiste, per potere installare e usare la app nei nostri smartphone (tralascio qui il problema, non da poco, del possesso degli smartphone e la capacità d’uso degli stessi, specialmente per la popolazione anziana). Innanzitutto, ci vuole una legge votata dal parlamento, in subordine un decreto legge, e quindi sarebbe meglio non intervenire con provvedimento amministrativo quale un DPCM.

Ci vuole, poi, la volontarietà dei cittadini, e quindi nessun obbligo a installare la app. Sarà pur vero che per funzionare bene occorre che almeno il 60% degli italiani dovrebbero installarla nel loro smartphone ma non li si può certo obbligare a farlo.

Ci vuole, inoltre, l’anonimato, e quindi la non riconoscibilità del soggetto che usa la app: bastano dei codici identificativi attraverso i quali conoscere la posizione di soggetti a rischio contagio e non certo il nome del contagiato. Così come attraverso la app si può sapere il grado di affollamento di determinati luoghi dove si vorrebbe andare e che invece sarebbe meglio evitare.

Ci vuole, ancora, che i dati rimangano nello smartphone personale, e quindi non circolino nella rete per impedire che vengano catturati da chi potrebbe farne un uso improprio. E comunque sulla effettività del corretto trattamento dei dati deve vigilare con rigore il garante della privacy.

Ci vuole, infine, che i dati vengano distrutti una volta terminata l’emergenza della pandemia. Così da non lasciare traccia a futura memoria.

La tecnologia è venuta in soccorso della libertà di espressione, delle libertà economiche, della libertà di insegnamento e del diritto al lavoro. Ora è venuto anche il momento di saperla usare, correttamente, per soccorrere il diritto fondamentale alla salute dei cittadini.

Tommaso Edoardo Frosini è Professore ordinario di diritto pubblico comparato e diritto costituzionale nell'Università Suor Orsola Benincasa di Napoli e vicepresidente del CNR.