In Italia si può chiudere una scuola per Ramadan? Riflessioni tra identità costituzionale e senso pratico

A Pioltello, provincia di Milano, ha suscitato grande clamore la scelta di un’amministrazione scolastica che - esercitando la discrezionalità consentita per gestire in autonomia alcuni giorni del calendario didattico – ha stabilito la chiusura in occasione della celebrazione della fine del Ramadan, onorata da gran parte degli scolari del comprensorio che è frequentato da una popolazione eterogenea e multietnica.

Chiunque abbia preso parte a un consiglio di istituto sa che tra le sedute più animate vi è quella in cui si deve decidere la distribuzione dei giorni di chiusura liberamente assegnati alla scelta delle scuole, in relazione a esigenze pratiche e contestuali che variano in ogni realtà. Solitamente questi giorni liberi vengono usati per creare ponti tra festività comandate e la discussione può accendersi tra chi preferisce un giorno di vacanza in più a margine di carnevale, Pasqua o tra venticinque aprile e primo maggio. Le valutazioni alla base di queste opzioni sono le più varie e non possono comunque prescindere dal presupposto che prevede il rispetto del tetto minimo di giorni di lezione, che deve essere in ogni caso garantito.

Nel caso di specie, come chiarito dalla dirigenza, la scelta della scuola lombarda è stata dettata da ragioni pratiche e dall’esigenza di razionalizzare l’attività scolastica compromessa di fatto dall’assenza massiccia della componente studentesca di religione musulmana. Tuttavia, vi è chi ha ravvisato nella circostanza una sorta di cedimento di fronte a tradizioni non riconducibili allo sfuggente concetto di “italianità”. Chiudere la scuola in occasione di una ricorrenza non cattolica rappresenterebbe insomma un tradimento della identità nazionale.

Devo ammettere che anche dopo un’attenta ricognizione dei principi e dei valori che esprimono lo spirito della Repubblica e sono raccolti ed esplicitati nella Carta costituzionale non mi è chiaro in che modo questa vacanza imposta contrasti con il patrimonio identitario italiano.

È stato forse violato il principio di laicità dello Stato? La libertà religiosa? Il pluralismo che riconosce a ogni persona il diritto di esprimere opinioni e attitudini nel rispetto altrui?

L’identità del popolo italiano che esercita la sovranità nel rispetto delle forme e dei limiti dettati dalla Costituzione Repubblicana affonda le radici nella cultura liberale che, dalle Rivoluzioni americana e francese in poi, riconosce e rivendica i principi di uguaglianza formale e sostanziale e i diritti civili che devono essere riconosciuti a tutti e tutte, a prescindere dal genere, provenienza etnica o sociale, nazionalità o religione.

La scuola pubblica, in quanto luogo di trasmissione di conoscenza, confronto, crescita e apprendimento nel senso più ampio è un fondamentale strumento costituzionale, manifestazione dello Stato sociale che si fonda su principi condivisi e non derogabili. L’istituto di Pioltello, forse più di tanti altri sul territorio nazionale, è crogiolo di culture, origini, voci, tradizioni e nel promuovere una integrazione basata sulla conoscenza reciproca favorisce l’inclusione risultando – come chiarito dal Presidente Mattarella – in linea con la missione costituzionale.

Chiudere una scuola per un giorno, nel rispetto dei requisiti della normativa vigente, riconoscendo una situazione di fatto (assenza di larga parte degli iscritti) che corrisponde al godimento di un diritto garantito dalla Costituzione (libertà di religione) non comporta nessuna abdicazione o rinuncia al patrimonio tradizionale e culturale che rimane personale, individuale prima che familiare o collettivo e che fino a prova contraria, in Italia, trova pieno riconoscimento e salvaguardia. Il resto è tempesta politica, scatenata in un bicchiere di sensibilità plurale e senso pratico, che niente ha a che fare con l’ideologia.

Carla Bassu, 27 marzo 2024