Costituzione e coronavirus: libertà, diritti e forma di Stato nell’emergenza sanitaria

Tutti i grandi mutamenti costituzionali sono frutto di una crisi, una frattura che disintegra lo status quo e impone una ricostruzione su basi nuove. Così, per esempio, lo Stato liberale è nato, con l’affermazione delle prime libertà individuali, sulle ceneri delle Rivoluzioni americana e francese di fine 1700 e le democrazie sociali sono espressione del costituzionalismo post II Guerra mondiale.

D’altronde il circuito del diritto è inesorabile: ubi societas ibi ius, le norme registrano esigenze sviluppate e manifestate dalla società, che devono essere regolate per scongiurare l’anarchia. La funzione del diritto è proprio quella di mettere ordine nel caos ed è inevitabile che eventi epocali come guerre, rivoluzioni o pandemie abbiano un impatto sull’assetto istituzionale, arrivando a volte a sconvolgerlo, letteralmente.

La confusione regna sovrana anche nella drammatica crisi sanitaria che stiamo vivendo, catapultati dalla dimensione di pasciuta libertà nella quale ci eravamo adagiati per imprinting generazionale a una condizione di rigida compressione dei diritti soggettivi. Ferma restando la legittimità di misure restrittive adottate in via transitoria e controllata al fine di realizzare uno scopo giudicato superiore, quale nello specifico è la salute pubblica, non si può trascurare l’impatto che tali limitazioni hanno su ciascuno di noi.
La gestione (frammentaria e convulsa) della crisi da parte delle istituzioni, in difficoltà di fronte a una situazione dirompente, ha messo in luce una lacuna della nostra Costituzione che non prevede uno strumentario chiaro e razionale per affrontare l’emergenza e su questo ci si dovrà confrontare a tempo debito. Ma ciò su cui vorrei soffermarmi è l’effetto che le misure per il contenimento del contagio esercitano sulle persone.
Il cambiamento radicale delle abitudini quotidiane per un tempo prolungato non è indolore e ci costringe a riflettere e prendere coscienza del modo in cui viviamo, rendendoci conto anche della nostra posizione nei confronti dell’ordinamento.

Le reazioni cui assistiamo in queste settimane sono varie e rappresentano uno specchio interessante, che riflette la diversa percezione di sé rispetto alla comunità e verso il sistema istituzionale. La grande maggioranza della popolazione riconosce il potente pericolo del virus e accetta, più o meno di buon grado, i sacrifici necessari per evitare che dilaghi. Molti invocano interventi ancora più rigidi e generalizzati, stigmatizzano chi chiede misure differenziate e ponderate in ragione di effettive esigenze del distanziamento sociale; alcuni pretendono la mano dura contro ogni forma di eccezione alla regola dell’isolamento. Alla base di questo atteggiamento vi è la tendenziale sfiducia nei confronti della collettività, percepita come sostanzialmente irresponsabile e ribelle; una comunità fatta di “altri”, incapaci di capire il valore delle regole e di rispettarle. Di qui consegue l’affidamento nelle mani di un’autorità pubblica di impronta genitoriale che agisce con intransigenza generalizzata “per il bene” dei cittadini/figli. È il ritorno a una visione paternalista del potere che emerge con forza negli stati di crisi. All’estremo opposto vi è chi diffida di ogni forma di imposizione proveniente dalle autorità costituite e vede ovunque complotti mirati a consolidare i famigerati “poteri forti”, a scapito del popolo. In mezzo vi è chi comprende e accetta le misure necessarie a superare l’emergenza ma chiede che siano giustificate, supportate da reali esigenze cautelari e comunicate in modo chiaro, tenendo conto che sono rivolte a cittadini capaci di intendere, di volere e dunque di assecondare strategie razionali, proporzionate e mirate a conseguire un obiettivo comune. Lo scopo condiviso da tutti (giovani, anziani, joggers e sedentari) è quello di sconfiggere il virus e di riprendere una routine che, dopo una parentesi così dolorosa, forse non sarà più la stessa ma che dovrà comunque fondarsi sull’apparato di prerogative individuali che deve esserci restituito integro, perché ci appartiene di diritto. 

Nell’attesa di raggiungere la meta di 0 contagi, piangere le perdite e rimboccarci le maniche per la ripresa che sarà faticosa, non dovremmo perdere di vista il ruolo centrale che in quanto individui occupiamo nell’impianto costituzionale. La retorica dei vecchi valori riscoperti stando in casa a fare le torte mi convince poco, perché il contesto democratico in cui sono cresciuta mi ha insegnato che le cose si apprezzano meglio quando sono frutto di una libera scelta. È vero che l’essere umano si adatta a tutto ma alla perdita dei diritti, che pure accetto se giustificata e temporanea, personalmente non mi abituerò mai.
Carla Bassu 3 aprile 2020