Diritti reversibili e libertà faticose. Lezioni americane: dall’aborto all’astensionismo, libertà è partecipazione


La sentenza con cui la Corte Suprema USA ha contraddetto il celebre precedente Roe v. Wade che ancorava alla privacy il diritto di interruzione di gravidanza, stabilendo un limite alla ingerenza pubblica nella sfera di autodeterminazione individuale delle donne (caso Dobbs v. Jackson Women’s Health Organization, 24 giugno 2022) ha scosso l’opinione pubblica internazionale.

La notizia, giunta dopo la di per sé eclatante indiscrezione su una bozza di opinione del giudice Alito che rivelava l’intenzione della Corte, si colloca in buona compagnia alla voce «tutto può succedere» insieme con l’annuncio di Brexit, la pandemia e qualche surreale esito elettorale. Dovremmo essere dunque abituati a eventi imponderabili che incidono sulla integrità della sfera dei diritti che credevamo perfetta e inscalfibile perché protetta dallo scudo di democrazie consolidate, ma continuiamo a stupirci.

Con riguardo alla pronuncia della Corte Suprema, senza volerne in alcun modo sminuire la portata, mi soffermo sul dato tecnico per specificare che si tratta di una decisione di grande impatto soprattutto dal punto di vista del modello di federalismo e della interpretazione dello stare decisis nel sistema di common law. La Corte, infatti, invia un segnale potente a favore del riconoscimento agli Stati di ampia scelta discrezionale anche rispetto a diritti individuali che da più di cinquanta anni erano riconosciuti a livello federale e sottratti alla disponibilità degli Stati. Ancora, rileva il ricorso all’overruling – una delle possibilità previste per superare il precedente vincolante, che costituisce ancora il principale principio ordinatore degli ordinamenti di common law – che ha consentito di ribaltare la posizione assunta in precedenza. Dal punto di vista strettamente giuridico, dunque, l’impatto di questa sentenza è forte rispetto alla articolazione dei poteri tra centro e periferia in un sistema di federalismo esemplare quale quello statunitense e nell’ottica della concezione del common law.

E i diritti delle donne? L’autodeterminazione? L’aborto?

Fermandosi al dato formale, fatta eccezione per alcuni opinabili giudizi di valore rispetto alla interruzione di gravidanza, la Corte non fa perno sul diritto sostanziale di scelta delle donne sul proprio corpo anche se – a tutti gli effetti – di questo si parla ed è questo che rischia di essere gravemente compromesso in larga parte del territorio nazionale, in cui norme restrittive sono già in atto o in procinto di entrare in vigore.

Le riflessioni suscitate da questa e altre recenti pronunce sono molte e di sistema, a partire dal grado di politicizzazione e polarizzazione del vertice del sistema giudiziario USA. Ci si interroga sull’opportunità di rivedere il sistema di nomina, composizione e durata dei giudici supremi; sulla strumentalizzazione dei casi giudiziari; sulla valorizzazione dell’autonomia statale in controtendenza rispetto al passato, soprattutto con riguardo ai diritti; sulla separazione dei poteri e sull’annosa questione della democraticità del judicial review of legislation.

Torna alla mente un libro di Robert Dahl, suggestivo fin dal titolo: «How democratic is the American Constitution?» chiede l’autore dalla copertina e rispondere oggi più che mai si rivela difficile e amaro. A maggior ragione perché la stessa domanda può essere estesa a tutte le democrazie stabilizzate, suscitando le medesime perplessità.

La tentazione di lasciarsi trascinare dal disfattismo, raffigurando scenari apocalittici di crisi e regressione democratica c’è e può essere forte. Ma un’analisi lucida e prospettica rivela il segreto della democrazia americana che vive e resiste grazie all’articolato sistema di pesi e contrappesi che consentono ai poteri pubblici di controllarsi e limitarsi a vicenda.

La lezione che traiamo di fronte alla inversione a U della Corte Suprema USA sull’aborto è che i diritti non sono conquiste ottenute una volta per sempre. La libertà, come tutto nella vita, va curata, coltivata, monitorata e protetta affinché possa conservarsi integra e perpetuarsi. Le prerogative individuali e collettive che oggi diamo per scontate e rivendichiamo sono il frutto di lotte strenue combattute dalle generazioni che ci hanno preceduto e abbiamo il dovere e la responsabilità di attivarci per preservarle intatte e potenziarle ulteriormente.

I mezzi ci sono e passano attraverso la partecipazione politica.

Con riguardo all’aborto negli USA, per esempio, la mai troppo rimpianta Justice Ruth Bader Ginzburg aveva messo in dubbio la forza della sentenza Roe v. Wade come pilastro giuridico federale in materia e l’orientamento della maggioranza dei suoi colleghi oggi in carica le da ragione. Senza soffermarci (eppure tanto ci sarebbe da dire…) sulle ragioni e le scelte che hanno portato all’attuale formazione della Corte Suprema, è innegabile che la sentenza in commento assesta un duro colpo ai diritti delle donne ma non è una ferita mortale. Ho impressa, in questo senso, la lezione di un grande maestro di tennis che a fronte della frustrazione impetuosa da errore e sconfitta mi ha insegnato che lo sport è una scala, inciampare è fisiologico e solo chi sa sollevarsi e dopo essere caduto insiste e persiste può arrivare in cima.

La scala dei diritti è infinita e irta di ostacoli. La Corte Suprema, smentendo Roe v. Wade ha sbarrato una strada ma le vie non sono certo finite. Il diritto alla autodeterminazione delle donne anche rispetto alla gravidanza può passare dalla porta principale, ovvero quella del Congresso federale e i rappresentanti hanno l’opportunità di elaborare una normativa organica e garantista, coerente con il grado di riconoscimento dei diritti necessario affinché una democrazia possa essere definita tale.

L’indignazione che spontaneamente e trasversalmente è stata espressa da larghe fasce di popolazione rispetto alla decisione della Corte Costituzionale non è fine a sé stessa ma dovrebbe canalizzarsi in pressione politica da esercitarsi a partire dalle urne elettorali.

Ecco cosa c’entra l’aborto con l’astensionismo. I diritti si rivendicano, si pretendono, si normano. Non ci sono diritti senza partecipazione.

Carla Bassu, 29 giugno 2022