I costi dell’autonomia differenziata e il miraggio della continuità territoriale

Mentre il percorso dell’autonomia differenziata procede, per ora al di fuori dalle sedi rappresentative, abbiamo ascoltato parole rassicuranti dei promotori della riforma, risoluti nel sedare gli animi preoccupati: «Non ci sarà un’Italia a due velocità, né cittadini/e di serie A e B». Certo, qualche dubbio è sorto di fronte a dichiarazioni sulla prospettiva di differenziare gli stipendi degli insegnanti assunti al nord dove, lo sanno tutti, la vita è più cara.

Ma il Ministro al quale è stata addebitata questa idea ha prontamente smentito, lamentandosi di essere stato frainteso perché, sicuramente, è ben consapevole di quanto costi di più vivere e lavorare al sud e nelle isole e, soprattutto, in certe zone del meridione e dell’Italia insulare, scollegate tanto da risultare irraggiungibili. Chi ha la sventura di trovarsi al di fuori dall’asse privilegiato del tragitto Eurostar sa quanto sia dispendioso in termini di denaro e tempo spostarsi. Il gravame diventa drammatico quando si ha base su un’isola e raggiunge vette insostenibili quando si vive lontano dai centri principali. Solo chi vive nell’Italia remota sa cosa comporta la volontà di non voler rinunciare a opportunità di lavoro oltremare in termini di oneri economici, di tempo (sottratto al lavoro e alla famiglia) e di qualità della vita. Per non parlare di chi è costretto a spostarsi non per voglia di miglioramento personale ma per necessità. Quanto costa il diritto alla salute di un sardo, di un siciliano, di un calabrese della Sila? Chi lavora sull’isola dovrebbe forse godere di retribuzione rafforzata perché nel caso in cui sfortunatamente si ammali dovrà spendere cifre enormi per ricevere cure adeguate? E che dire del diritto di voto e di ricongiungimento familiare di chi lavora altrove e non può permettersi di sostenere le cifre necessarie per tornare a casa ed esercitare prerogative garantite dalla Costituzione? 

La barriera dell’insularità.

Sardegna, Sicilia e le isole minori sono parte integrante il territorio italiano e la Repubblica ha il dovere di garantire a chi vi abita le stesse opportunità offerte sulla Penisola. Continuità territoriale significa collegamento garantito con l’intero spazio nazionale, come se non ci fosse la frontiera fisica del mare che, grazie alla tecnologia, può essere superata agevolmente e velocemente da una rete di trasporti solida ed efficiente, ma serve la volontà ferma e la determinazione del decisore pubblico a garantire i diritti di tutte e tutti in modo uniforme, come vuole la Costituzione.

Chi risarcisce delle occasioni perdute, del tempo e del denaro perso per la situazione precaria di collegamenti e vie di trasporto? Per chi non ha altro modo che volare per raggiungere in tempi ragionevoli il continente, i piccoli aeroporti sono espressione della capillarità che deve caratterizzare la rete dei trasporti di un’isola affinché possa parlarsi di continuità; sono luoghi necessari alla sopravvivenza del territorio, strumenti della libertà di movimento in ingresso e in uscita, funzionali alla espressione dei diritti alla salute, al lavoro, allo sviluppo delle potenzialità economiche ma anche culturali e sociali di una regione insulare. Senza un investimento massiccio nella continuità territoriale che allinei tutti gli aeroporti isolani agli snodi internazionali e crei una corsia di collegamento sicuro da e per il resto dell’Italia e dell’Europa, il principio di insularità in Costituzione è carta straccia.

 

Carla Bassu, 28 febbraio 2023