Il diritto di correre indisturbate

Ho fatto un sogno: correvo, una mattina, al mare, come d’abitudine beandomi del privilegio di un’alba senza paragoni, nelle orecchie la playlist che in connubio col paesaggio coccola i neuroni e accumula endorfine sufficienti per i mesi a venire. A un certo punto, compare in lontananza un gruppo di persone sedute sul muretto che costeggia la pineta: ragazzi reduci da una notte di festa, con tutta probabilità. Fin qui uno scenario comune nella mia routine di podista mattutina. Nella realtà a quella vista avrei cambiato strada, a costo di sacrificare allenamento e panorama, pur di evitare sguardi ed epiteti più o meno grevi che qualunque donna di passaggio di fronte a un pur piccolo assembramento maschile è abituata a subire.

Lungi da me generalizzare, conscia dell’esistenza di maschi in pace con sé stessi e tanto sicuri della propria virilità da non doverla dichiarare al branco molestando un altro essere umano, devo registrare il dato per esperienza. Purtroppo, già in età piuttosto tenera una ragazza apprende che anche solo camminando per la strada può essere fatta oggetto di richiami, non necessariamente negativi ma che a lungo andare incidono sulla percezione di sé e condizionano la vita. A lungo non ho saputo decifrare il turbamento prodotto dai commenti per strada poi, crescendo, ho capito che non avrei dovuto tenerne conto perché non erano davvero rivolti a me ma a una entità indistinta, un oggetto inanimato; chi li pronuncia non ha mai sentito la mia voce, né può sapere nulla sui miei interessi o sulle letture di cui vado tanto fiera, non ha diritto di giudicarmi.

Esprimendo apprezzamenti non richiesti, anche in buona fede non si gratifica ma si manca di rispetto; si esercita pressione su una persona riducendola in qualche modo a cosa e sebbene questa pratica sia più che radicata è dannosa perché implica una mancanza di riconoscimento dell’altro/a in quanto individuo complesso.  

Chiunque si sente autorizzato a esprimersi sull’aspetto di una donna, presupponendo anche inconsciamente che quello sia il fondamentale parametro di giudizio ed è così che le ragazzine cominciano a soffermarsi davanti allo specchio misurandosi e valutandosi, guardandosi con gli occhi invadenti di chi non ha nessun titolo per ergersi a giudice, eppure lo fa con nonchalance. Amiche, è tempo sprecato, sottratto ad attività ben più proficue o divertenti.
Resta l’ingiustizia di fondo perché, siamo sinceri, un uomo che vuole andare a correre indossa le scarpette ed esce mentre una donna riflette prima sul percorso più opportuno, che deve essere frequentato, ben illuminato e vicino a case o negozi. Una corsa in pineta alle prime luci del giorno? A tuo rischio e pericolo, baby.
Tornando alla mia attività onirica, invece di fare marcia indietro o predispormi a ignorare impassibile i coretti come avrei fatto da sveglia, nel sogno tornavo indietro e affrontavo la muta di bulli pretendendo rispetto e sciorinando le norme francesi anti-molestie che (nel mondo dei miei sogni) vigenti anche da noi avrebbero comportato sanzioni gravi, oltre allo stigma sociale. Contriti e sinceramente pentiti, tutti si scusavano.

Un equivoco da chiarire: i commenti allusivi da parte di estranei o in luoghi di lavoro non hanno niente a che fare con la galanteria ma sono espressione di prevaricazione, talora lieve, a volte grave, di chi mira a porsi in una posizione sovraordinata rispetto alla persona cui vengono rivolti. In Francia, come accennato, chi rivolge oscenità per strada rischia fino a 750 euro di multa. Nel rispetto della libertà di espressione questo genere di provvedimento ha il pregio di accendere la luce su un tema sottovalutato e sensibilizzare la popolazione, responsabilizzandola.  

Il mio sogno è finito bene, al risveglio sono andata a correre, ripromettendomi di tenere fede al mio coraggio onirico, ma ho portato con me lo spray al peperoncino, premurosamente fornito da un genitore pragmatico.

Carla Bassu 7 agosto 2020