Il valore (e il fascino) della competenza versus l’arroganza dell’ignoranza

 

Quando ero piccola, e i lettori digitali delle etichette erano lungi dall’essere inventati, rimanevo incantata di fronte alla velocità straordinaria e alla perizia con cui le impiegate di un certo supermercato della mia città smistavano gli articoli recitando ad alta voce il prezzo così da far risparmiare tempo alla cassiera e nel frattempo riponevano tutto nei sacchetti secondo un preciso criterio. Mi chiedevo quanto impegno ed esercizio ci fosse voluto per raggiungere tale livello di capacità. La stessa meraviglia mi ha sempre colto osservando all’opera professionisti di ogni genere, capaci di utilizzare strumenti e mettere in atto tecniche ai miei occhi misteriose con una dimestichezza frutto di studio e, sicuramente, sacrificio. Incanto e rispetto davanti a idraulici, elettricisti, velisti, danzatori, medici di ogni genere capaci di aggiustare, condurre, volare, guarire. E che orgoglio per i miei genitori e familiari riconosciuti come bravi nel loro mestiere. Nel tempo ho imparato che affidarsi a chi ha le giuste competenze è sempre una scelta oculata, che limita le possibilità di esito negativo (inconvenienti ed errori sono fisiologici e connaturati all’essere umano) e ottimizza le probabilità di soddisfazione.

Fermamente convinta del valore della competenza resto basita di fronte alla solida sicurezza di chi discetta nei campi più vari dello scibile umano, mettendo (a volte brutalmente) in discussione la credibilità di chi – grazie a lauree, specializzazioni e dottorati – avrebbe effettivamente la qualifica per pronunciarsi. È ormai pratica quotidiana e diffusa grazie alla cassa di risonanza dei social media, esprimere pareri tecnici e tranchant su questioni complesse che per essere comprese e approfondite richiedono conoscenze pregresse fondate su anni di studi specialistici. Invece troviamo citazioni di sentenze, norme giuridiche, studi clinici, statistiche tratte da fonti variegate e il più delle volte inaffidabili, interpretate strumentalmente e riportate come verità assolute e spesso accompagnate con critiche o insulti verso gli «esperti».

Non mi consola apprendere che la diffidenza verso la scienza (e in generale verso chi da professionista esprime pareri qualificati nei settori di competenza) e l’insolenza di chi pensa di saperne più di tutti per aver appreso qualcosa da una fonte del tipo laveraveritàmaproprioveraveranonquelladeipoteriforti.com è riconducibile a una sindrome precisa.

Si tratta dell’effetto Dunning-Kruger che prende il nome dagli autori di uno studio del 1999 realizzato da ricercatori statunitensi della Cornell University (Unskilled and unaware of it: how difficulties in recognizing one's own incompetence lead to inflated self-assessments, in J Pers Soc Psychol, reperibile al sito https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/10626367/ ) e ha stabilito che le persone prive di competenza non sono in grado di rendersene conto e pensano al contrario di essere migliori degli altri. Nello specifico, gli esperimenti effettuati hanno messo in evidenza che gli incompetenti, che avevano ottenuto risultati molto peggiori nei test effettuati rispetto ai qualificati, pensavano di avere avuto esiti decisamente migliori rispetto alla media. In sostanza si evidenzia come gli incompetenti non si rendano conto di esserlo e tendano a sovrastimare significativamente le proprie abilità. La questione si pone nel momento in cui persone prive di competenze specifiche acquisiscano una conoscenza elementare in un determinato campo scalando quello che Dunning e Kruger chiamano il «monte della stupidità» ovvero la vetta in cui la sicurezza di sé stessi (confidence) supera la conoscenza (competence) così che di fatto si ignora la propria ignoranza e magari si rivolgono con veemenza inviti del tenore di «studia!» o «informati!» a persone che hanno dedicato la vita a studiare e informarsi.

L’ignoranza non è una colpa e la voglia di imparare è il motore che muove il mondo virtuoso ma, come affermato dalla saggia psicologa Elizabeth Mancuso, la consapevolezza di non sapere (da Socrate in poi) è prerequisito fondamentale per acquisire conoscenza perché migliorare richiede l’umiltà di rendersi conto di avere qualcosa da imparare.

Carla Bassu, 30 agosto 2021