La fisarmonica del Presidente: il ruolo del capo dello Stato nelle crisi di governo, ago della bilancia o deus ex machina?


La XVIII legislatura, ancora in corso nel momento in cui si scrive, è stata fin dal suo principio anomala e particolarmente travagliata anche se per onestà intellettuale non si può fare a meno di constatare che nella storia dell’Italia repubblicana è più difficile individuare una legislatura ordinaria, senza scossoni, rispetto a una stagione che per una ragione o per l’altra si sia rivelata eccezionale.

Nello specifico, guardando i fatti e ricostruendo le vicissitudini istituzionali alle quali abbiamo assistito a partire dalla tornata elettorale della primavera del 2018 osserviamo quali sono i motivi precisi che rendono la XVIII una legislatura straordinaria.

Sin da subito, dopo le elezioni politiche, la strada è parsa in salita con la formazione del governo che – come si dirà con maggiore dettaglio più avanti - ha ottenuto la fiducia in una interessante colorazione giallo-verde, composta dalla Lega capeggiata da Matteo Salvini e dal Movimento 5 Stelle guidato da Luigi Di Maio, con la presenza sempre aleggiante del fondatore, Beppe Grillo. Dopo un lungo stallo e grazie all’intervento pregnante del Presidente Sergio Mattarella, che ha operato ai sensi della Costituzione, estendendo la fisarmonica dei suoi poteri come previsto nei momenti di crisi politica, e che per questo è stato bersaglio di critiche asperrime e addirittura di una minaccia di impeachment (!) da parte del M5S, ha visto la luce il primo governo del Presidente del Consiglio debuttante in politica, Giuseppe Conte. Come è noto da quel momento fino a oggi la scena nazionale è stata più che mai teatro di episodi al limite del rocambolesco. Al governo Conte I è infatti seguito il Conte bis, questa volta di colore giallo rosso perché la componente leghista - a seguito della crisi dell’estate 2019 – è stata sostituita dal Partito Democratico che è entrato a far parte della compagine dell’esecutivo nel mese di settembre.

A conferire il primato di eccezionalità alla legislatura attuale è intervenuta l’emergenza sanitaria dalla quale non possiamo dirci ancora in salvo. La pandemia ha messo a dura prova non solo noi tutti, la comunità e il sistema sanitario ma l’intero comparto istituzionale chiamato a fare fronte alla minaccia più grave per l’equilibrio del sistema dal secondo Dopoguerra. Allo stato dei fatti non possiamo che augurarci che la XVIII legislatura sia l’unica nella storia repubblicana a vantare una pandemia ma non è possibile fare in materia pronostici affidabili e l’unica scelta possibile è strutturarsi per prevenire e affrontare al meglio la situazione, nella cornice degli strumenti consentiti a una democrazia stabilizzata. L’emergenza sanitaria ha certamente svolto un ruolo cruciale nel determinare una nuova crisi e la caduta del secondo esecutivo guidato da Giuseppe Conte: ancora una volta il Capo dello Stato è stato ago della bilancia nella gestione della situazione, attivandosi come un «motore di riserva» su cui fare affidamento allorché quello principale si inceppa.

Il “Conte 2”, durato 509 giorni è il diciannovesimo in ordine di durata dei sessantasei governi che si sono avvicendati nell’Italia repubblicana. Nel gestire la crisi il Presidente della Repubblica, conferendo al Presidente della Camera Roberto Fico un mandato esplorativo e conducendo consultazioni brevi (in controtendenza rispetto a quanto accaduto nelle crisi più recenti), ha chiarito la mission del nuovo esecutivo, chiamato alla dura prova di condurre il Paese in una fase storica tanto complessa. Sergio Mattarella ha espressamente individuato tre emergenze, rispettivamente di ordine sanitario, economico e sociale, evocando chiaramente la responsabilità del nuovo governo rispetto a tutte e tre. Il riferimento implicito e l’auspicio non tanto recondito è di formare un governo solido, appoggiato da un adeguato sostegno parlamentare. Mario Draghi, figura autorevole sul piano interno e internazionale assicura il consenso di una maggioranza inedita, trasversale e unita non da affinità politiche o ideologiche bensì appunto solo dal senso di responsabilità che spinge a riconoscere la necessità di comporre un governo capace di traghettare l’Italia al di fuori della crisi.  L’esecutivo Draghi si caratterizza per una formula di composizione mista, con esponenti politici e tecnici, che ritroviamo nell’esperienza passata nel governo presieduto da Carlo Azeglio Ciampi nel 1993 (composto da quattordici ministri provenienti da partiti e da undici tecnici) e si differenzia invece dal modello esclusivamente tecnico di Mario Monti. Il profilo pragmatico e l’impronta decisionista della compagine guidata dall’ex Presidente della BCE emerge subito e rende evidente un cambio di passo non esente da critiche di chi contesta una resa della politica a fronte di tecnici.

Nel momento in cui si scrive non è noto chi succederà a Sergio Mattarella al Colle più alto e la lotteria delle supposizioni è aperta e ricca di scenari più o meno plausibili che occupano il dibattito pubblico vivacizzandolo forse troppo, almeno per i gusti di chi – Capo dello Stato in primis – invita a cautela e riflessione in un momento così delicato nella vita della Repubblica.

La figura istituzionale del Presidente della Repubblica e il ruolo riservato a questo organo monocratico nell’impianto costituzionale sono state oggetto di ragionamenti e considerazioni anche colorite che non sempre hanno contribuito alla determinazione di una discussione costruttiva.

Da ultimo si registra il riferimento che un esponente di spicco del governo in carica ha fatto circa la configurazione di un sistema di «semipresienzialismo di fatto» che si determinerebbe allorché Mario Draghi fosse eletto al Quirinale e da lì nominasse come Presidente del Consiglio – naturalmente con l’avallo della maggioranza parlamentare – una figura di fiducia che consentisse di fatto una prosecuzione senza soluzione di continuità dell’attuale attività governativa. Un governo non formalmente ma sostanzialmente guidato dal Colle insomma. Preme subito chiarire che dal punto di vista tecnico questa prospettiva si pone in netto e insanabile contrasto con la forma di governo delineata dalla Costituzione italiana. Nel nostro ordinamento, infatti, i poteri di indirizzo politico spettano a Parlamento e Governo, non al Capo dello Stato e sarebbe inconcepibile eleggere una sorta di “super presidente” (Ainis, huffingtonpost.it, 3.11.2021) senza dichiararlo. Altro è il margine di fisiologica flessibilità dell’azione presidenziale nel contesto di una forma parlamentare, altro ipotizzare un vero e proprio cambiamento del modello di governo a Costituzione invariata. C’è un limite alla estensione della “fisarmonica presidenziale” e, sebbene in questi anni si siano raggiunti gradi di tensione tali da spingere a dubitare in ordine alla tenuta di uno strumento giudicato da alcuni invadente e minaccioso rispetto all’armonia generale dell’orchestra, prospettare un netto cambio di ruolo istituzionale per il Capo dello Stato non contemplato da una apposita riforma della Costituzione pare non plausibile. Non dimentichiamoci che nel quadro costituzionale delineato dalle madri e dai padri della nostra Costituzione il Capo dello Stato è garante della unità nazionale, non è eletto direttamente dal popolo (come accade in Francia dove ravvisiamo un semipresidenzialismo effettivo, non di fatto) e non si scordi nemmeno lo strumento della controfirma, che connota la posizione della più alta carica dello Stato in una forma di governo parlamentare quale è quella italiana. Nel nostro ordinamento il Presidente della Repubblica entra in campo in quanto arbitro, non come un giocatore schierato e interviene nel gioco solo allorché i protagonisti dell’agone politico entrano in crisi e l’azione di un soggetto terzo è necessaria per uscire dall’impasse. Così è e dovrebbe essere almeno fino a quando una riforma approvata secondo la procedura di cui all’art. 138 della Costituzione sarà infine adottata.

(Il presente contributo del saggio pubblicato nel volume a cura di C. Bassu, F. Clementi, G. E. Vigevani, «Quale Presidente? La Scelta del Presidente della Repubblica nelle crisi costituzionali», Editoriale Scientifica, Napoli 2022)

 

Carla Bassu, 28 gennaio 2022