La specialità dell'essere isola

75 anni fa, nella cornice della neonata Costituzione, il percorso della Repubblica italiana si avviò con l’approvazione degli Statuti delle Regioni speciali, dando vita a un modello di autonomia differenziata giustificato dal riconoscimento di peculiarità territoriali che esigevano di essere considerate. La premura con cui furono approvate le prime quattro leggi costituzionali, tra cui lo Statuto sardo, dimostra l’esigenza di riconoscere subito e valorizzare specificità annichilite dal centralismo esasperato del regime fascista. In quel contesto, l’insularità giocò un ruolo determinante, perché individuato come fattore geopolitico sufficiente a legittimare forme accentuate di autodeterminazione e sostegno: un plus di specialità nell’ambito delle Regioni a Statuto differenziato.

Nel testo originale della Costituzione del 1948 era previsto un riferimento esplicito alle isole, rimasto sostanzialmente lettera morta per poi essere rimosso dalla riforma del 2001. Con la legge costituzionale n. 2 del 2022, approvata da una maggioranza ampia e trasversale, a Camere sciolte, si ottiene l’inserimento di un nuovo richiamo alla insularità nell’art. 119 della Costituzione: un traguardo importante che non può ritenersi di per sé sufficiente ad assicurare un miglioramento delle condizioni di vita nelle isole.

Per trasformare l’essere isola da condizione sfavorevole in opportunità occorre infatti un’azione sistematica, da attuarsi con interventi puntuali e inseriti in un piano strategico in cui l’insularità diventa parametro di legittimità per le leggi, per i provvedimenti amministrativi e per i regolamenti.  È una “differenza potenziata” che deve essere tenuta in considerazione anche con riguardo alle isole più piccole di cui la Sardegna è costellata.

Nella cornice dell’articolo 3 della Costituzione, l’insularità configura evidentemente un «ostacolo» alla uguaglianza sostanziale, costituendo a tutti gli effetti un limite alla possibilità di piena ed equa partecipazione alla vita lavorativa, economica e sociale in un contesto di parità e competitività non viziata. Vivere in Sardegna – tra i molti lati positivi - comporta uno svantaggio naturale, grave e permanente, che impedisce o rende comunque complicato concorrere ad armi pari con i connazionali continentali. Il primo passo per valorizzare la specificità trasformandola in risorsa è individuare nel dettaglio gli ambiti di penalizzazione e quantificare il costo economico necessario per colmare il gap di opportunità sulla base di calcoli precisi. Diritto allo studio, al lavoro, all’assistenza sanitaria e ai servizi pubblici in generale devono essere assicurati secondo standard uniformi sul territorio nazionale, ma sono difficilmente accessibili per chi vive su un’isola. Il riferimento costituzionale al principio di insularità risulterà efficace nel momento in cui si rivelerà un dispositivo operativo, funzionale ad azioni rivolte a ridurre fino ad annullare le distanze in termini di disponibilità e godimento di diritti fondamentali. Occorre definire correttivi specifici basati sulla insularità da considerare nella determinazione (ancora attesa) dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP), relativi ai diritti che rappresentano gli standard minimi da assicurare su tutto il territorio. Naturalmente, nulla può essere fatto senza investimenti adeguati e, soprattutto, è importante che l’azione non sia limitata al livello nazionale bensì coordinata in ambito dell’Unione europea, dove le isole sono riconosciute – per ragioni fisiologiche ineliminabili - tra le aree più vulnerabili e tutelate nella sfera delle politiche volte alla riduzione del divario tra i livelli di sviluppo delle diverse regioni europee (art. 174 TFUE). In questa ottica occorre agire per adeguare la disciplina in materia di aiuti di Stato, definendo un regime di fiscalità di vantaggio che possa essere riferimento per tutti gli Stati membri e studiando strumenti ad hoc nel quadro della politica di coesione. In Europa esistono già casi di isole capaci di sfruttare il riconoscimento costituzionale della specificità; basti pensare agli arcipelaghi di Spagna e Portogallo, vicini a noi per cultura e impostazione costituzionale, che presentano un modello di regionalismo asimmetrico, in cui il fattore insulare è il perno di un sistema normativo e di agevolazioni premiante. In Italia, già in avvio di legislatura sono state presentate proposte di legge di attuazione del principio costituzionale di insularità e per la creazione di un fondo ad hoc. L’augurio è che la volontà politica sostenga un processo necessario a inverare i principi di eguaglianza ed equità economica e sociale, fino a ora compressi in Sardegna, isola speciale perché grande e lontana dalla terraferma, portatrice di un patrimonio identitario multiforme e di risorse inestimabili e finora ampiamente inespresse.

Con il principio di insularità in Costituzione si riconosce una specificità geopolitica evidente, che non può essere ignorata in un ordinamento in cui le istituzioni pubbliche locali, regionali e statali hanno il dovere e non l’opzione di intervenire per rimuovere gli ostacoli che, limitando la libertà e l’uguaglianza delle persone, impediscono il pieno sviluppo individuale e l’effettiva partecipazione di tutti e tutte all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Settantacinque anni non sono bastati per ottenere il risultato ma confidiamo che si possa recuperare il tempo perduto.

*articolo pubblicato nell'Inserto Speciale edito da L' Unione Sarda il 9 marzo 2023, in occasione del 75esimo anniversario dello Statuto Speciale della Sardegna



Carla Bassu, 28 marzo 2023