La (troppo) lenta fine della pena di morte negli Usa

«Molla chi boia» (Infinito edizioni, 2021) è il bel saggio che Riccardo Noury, portavoce della sezione italiana di Amnesty International, dedica al rendiconto dettagliato della pena capitale negli Stati Uniti d’America. Come essere umano sono grata ad Amnesty International per l’azione costante e implacabile di monitoraggio, allerta, denuncia e difesa dei diritti umani su moltissimi fronti. «Molla chi boia» è un libro necessario, prezioso perché richiama l’attenzione su una enclave che manifesta una concezione di giustizia arcaica nel mondo occidentale. Una incursione della legge del taglione che tanto ci scandalizza quando operata in realtà lontane e viste con distacco e sospetto e che viene di fatto accettata/ tollerata da alcuni, fortemente sostenuta da altri – nella più antica democrazia liberale.

Noury ci regala una fotografia fedele della situazione delle esecuzioni capitali degli Stati Uniti. Con rigore e sobrietà riporta dati inquietanti rispetto alla diffusione e alle condizioni in cui viene praticata la pena capitale, rivelando aspetti dolorosi, insopportabili per chi crede nella inderogabilità del primato della dignità umana.

Per descrivere il senso della Costituzione mi piace citare una immagine di Gustavo Zagrebelski, secondo me profondamente evocativa ed efficace: «La Costituzione è ciò che ci siamo dati da sobri, da valere quando siamo malati» e per spiegare il senso di questa frase ricorro proprio all’esempio della pena di morte che trovo aberrante, una barbarie incompatibile con l’ordinamento democratico e con la civiltà moderna. Eppure, se qualcuno osasse fare del male a mia figlia, a mio marito, a mia sorella, ai miei genitori, alla mia amica, al mio cane…ebbene so che gli/le augurerei il peggio ma sarebbe l’ubriachezza del mio animo devastato a parlare e la Costituzione, le regole della democrazia servono proprio a sottrarre all’ebrezza irrazionale dell’essere umano situazioni che devono essere lette e regolate con la lucidità del diritto e, mi spingo a usare questa parola grande, della giustizia.

Questo non ha niente a che fare con il buonismo né implica impunità. I colpevoli di ogni reato devono essere perseguiti, processati e puniti in misura proporzionale, equa e rispettosa della dignità umana.

La pena di morte non solo è inumana ma è inutile. È dimostrato che non ha effetti di deterrenza, nè aiuta le vittime: Noury lo ribadisce in più punti nel testo, portando evidenze a supporto di questa tesi che non è teorica ma sostenuta da dati ormai stratificati nel tempo e coerenti. Particolarmente eloquente in questo senso è la testimonianza di Brooks Douglass, ex senatore dell’Oklaoma che da adolescente fu vittima di una tragedia familiare (due malviventi si introdussero in casa, violentarono la sorella dodicenne di fronte al resto della famiglia, poi spararono a tutti uccidendo i genitori. I due figli sopravvissero, con le conseguenze devastanti che si possono immaginare. Ebbene, i responsabili di questo eccidio furono trovati (solo uno di loro condannato a morte) e Douglass racconta che la sorella assistette all’esecuzione del suo carnefice ma uscì dall’esperienza prostrata e ancora più piena di odio.

Nel libro viene accuratamente descritta la geografia degli Stati che ancora prevedono la pena di morte, c’è un interessante parallelismo con le realtà che propongono norme estremamente restrittive sul diritto di interruzione di gravidanza e che sono ora protagonisti nella vicenda della revisione della celebre sentenza Roe v. Wade. Questo dato evidenzia la strumentalizzazione politica della pena di morte e di altre tematiche eticamente sensibili. Noury racconta come nemmeno durante la pandemia le esecuzioni si sono fermate e sottolinea elementi che non possono non indignare: errori giudiziari e innocenti mandati a morte; condannati con storie personali terribili, con conclamati problemi psichici; addirittura esperimenti sugli esseri umani, con l’utilizzo di farmaci non idonei. Sono tante le  violazioni dei diritti umani che si compiono nel braccio della morte.

La pena di morte è in sintesi una vendetta di Stato incompatibile con i principi del costituzionalismo e Riccardo Noury ce lo ricorda in modo sobrio e puntuale; mi unisco a lui e ai tanti che invocano la fine repentina e irreversibile di una pratica non degna di un ordinamento democratico.

Carla Bassu, 29 maggio 2022