L’altra faccia del Covid: l’impatto indiretto della pandemia sulla salute delle persone (e delle donne in particolare)

 

Lo scorso 22 ottobre la Corte Costituzionale polacca (11 voti a favore e 2 contrari) ha dichiarato l’incostituzionalità della interruzione di gravidanza nel caso in cui praticata a causa di gravi malformazioni del feto. Le regole anti-assembramento hanno impedito la mobilitazione massiccia avvenuta in passato contro interventi simili e le proteste si sono limitate a viaggiare online.

Nel panorama europeo la Polonia vantava già una delle normative più restrittive sull’aborto, consentito solo in caso di stupro, incesto, accertato pericolo di vita per la madre e – fino a pochi giorni fa - gravi patologie del feto. Regole così stringenti hanno spinto negli anni moltissime donne polacche a viaggiare verso Stati vicini per sottoporsi a interventi in sicurezza, ma tale prassi è stata a lungo impedita dalle limitazioni alla libertà di movimento imposte in ragione della crisi sanitaria. Nell’aprile 2020, in piena emergenza da coronavirus, si è registrata una proposta di legge volta a ridurre ulteriormente le possibilità per una donna di interrompere la gravidanza imponendo, per esempio, di portare a termine la gestazione anche in caso di gravi malattie diagnosticate al feto. Nel 2016 il tentativo di introdurre una legge dal contenuto analogo era stato bloccato dal movimento popolare noto alle cronache come Czarny Protest (Protesta Nera): le donne polacche avevano sfilato nelle piazze vestite di nero, con i visi dipinti dello stesso colore, tenendo in mano grucce di ferro come simbolico riferimento agli utensili utilizzati negli aborti illegali, ancora tristemente diffusi a causa della rigidità delle norme già vigenti. In epoca Covid una manifestazione di tale impatto è impensabile e il sit-in organizzato di fronte alla sede del Parlamento polacco nel rispetto dei protocolli di sicurezza è stato prontamente sgomberato, passando sostanzialmente sotto silenzio.

La scelta di intervenire su un tema così sensibile nel mezzo di una pandemia forse non è casuale: nel mondo una tendenza restrittiva dei diritti delle donne è stata giustificata dall’esigenza di contenere il contagio da Covid-19 ma non supportata da un nesso di causalità tra misure attuate e obiettivo perseguito. Così, nel marzo 2020 l’atteso provvedimento di liberalizzazione dell’aborto in Argentina è stato rinviato a data da destinarsi a causa dell’emergenza sanitaria; in alcuni Stati degli USA le interruzioni di gravidanza sono state sospese perché ritenute «non essenziali» e rinviate al termine dell’emergenza ma non è dato sapere quando la crisi potrà dirsi conclusa e i termini legali per l’aborto con tutta probabilità nel frattempo scadranno. La giustificazione è la necessità di riservare prioritariamente risorse umane e dispositivi medici al trattamento dell’epidemia.

Come emerge da una ricerca condotta dal Guttmacher Institute (https://www.guttmacher.org/article/2020/03/covid-19-outbreak-potential-fallout-sexual-and-reproductive-health-and-rights#)  la pandemia esercita un serio impatto sul diritto alla salute degli statunitensi, soprattutto con riferimento all’accesso a cure per HIV/AIDS, trattamenti per la fertilità, esami prenatali, contraccezione e aborto. Questa evidenza può essere estesa ad altri paesi, compreso il nostro, dove i protocolli di prevenzione e l’accesso alle cure sono ridimensionati e talora compromessi per la priorità riservata ai casi Covid-19.

Rispetto alla situazione specifica della salute femminile, il terribile virus esercita una influenza anche perché le donne impiegate nel comparto della sanità, inteso in senso largo fino a ricomprendere anche chi si occupa della cura di anziani e di persone con disabilità, sono in larga maggioranza e dunque sostanzialmente molto più esposte al contagio. Questa evidenza mette in risalto la necessità, con riferimento agli effetti della pandemia, di procedere a un’analisi dei dati disaggregati per genere perché la raccolta e l’esame indifferenziato potrebbero portare a risultanze incomplete e fuorvianti. Ma grande attenzione deve essere rivolta anche alle altre categorie sensibili, ai soggetti a rischio, a chi per diverse ragioni è immunodepresso/a o affetto/a da patologie diverse dal Covid ma non meno gravi che – ahimè – non spariscono perché c’è una pandemia.  A tutti spetta piena assistenza e diritto alla cura migliore, nel rispetto del nostro parametro costituzionale.

Carla Bassu 26 ottobre 2020