Novembre elettorale ed equilibrio costituzionale negli Stati Uniti d’America

Lo scaglionamento delle elezioni è uno dei celebri e preziosi checks and balances che caratterizzano il modello costituzionale degli Stati Uniti d’America, rendendolo davvero unico e probabilmente irripetibile, come dimostrano gli esiti degenerativi sistematicamente prodotti dai tentativi di esportazione, che hanno condotto a derive presidenzialiste (dall’America Latina in poi).

Le elezioni di mid-term del 2022 si collocano in un momento particolarmente delicato non solo a livello globale (la guerra in Europa; il mondo che tenta di lasciarsi alla spalle una pandemia tragica), ma soprattutto in ambito interno, dove la polarizzazione politica rispecchia una profonda frattura sociale nel Paese, che si riflette anche in un approccio nettamente diverso nei confronti delle istituzioni.

Chi è andato a votare non ha espresso preferenza solo per un partito ma anche per una precisa visione delle istituzioni, dei diritti fondamentali da riconoscere in ambito federale e statale e dell’ordine costituzionale. Ancora, molti statunitensi più che per un partito, un rappresentante, una visione hanno votato contro qualcuno o qualcosa.

Non si può trascurare che il diritto costituzionale statunitense nell’ultimo anno è stato scosso da veri e propri terremoti giuridici, che corrispondono a nette prese di posizione e contrapposizioni in merito alla interpretazione costituzionale:

·      Originalismo v. interpretazione evolutiva della Costituzione federale

·      Rafforzamento dei poteri federali v. autonomia degli Stati anche in temi sensibili su diritti

·      Potere giudiziario v. potere politico.

Cito tre casi, tra i più eclatanti:

1.     la sentenza Dobbs et al. v. Jackson Women’s Health Organization et al, che ha smentito il precedente Roe v. Wadein materia di aborto, negando l’esistenza di un diritto federale alla interruzione di gravidanza;

2.     New York State Rifle&Pistol Association, Inc., et al. v. Bruen, Superintendent of New York State Police, et al., che ha dichiarato incostituzionale una legge dello Stato di New York mirante a limitare la circolazione di fucili e pistole armi;

3.     West Virginia v. EPA, che segna una netta inversione di rotta in materia di cambiamento climatico e politica energetica.

Tutti questi casi si innestano in un preciso filone giurisprudenziale e vanno oltre il merito della vicenda, inserendosi in un discorso attestante una tendenza che incide sull’impianto di separazione dei poteri e sul sistema di ripartizione territoriale delle competenze. Si registra infatti, tendenzialmente, la valorizzazione dell’autonomia degli Stati con una conseguente limitazione del potere federale di intervenire nei confronti delle aziende attive sul territorio. A uno sguardo più attento si riscontrano le conseguenze delle decisioni non solo sul piano squisitamente tecnico del rapporto tra atto politico, amministrativo e giurisprudenziale e sul profilo concreto rispetto delle conseguenze sui diritti delle donne, sul rapporto tra prerogative individuali e sicurezza pubblica e sulla salvaguardia dell’ambiente, ma anche in relazione a interessi politici ed economici locali. Si consideri per esempio il caso della decisione West-Virginia v. EPA (che sanziona la possibilità per l’agenzia federale di imporre alle aziende limiti alle emissioni inquinanti e rimette agli Stati la discrezionalità delle regole). Lo Stato del West Virginia ospita sul suo territorio importanti riserve di carbone: è il secondo produttore a livello nazionale, dopo il Wyoming, impiega nel settore circa 15.000 persone escluso l’indotto e basa sul comparto il capitolo più importante nell’economia locale. Se le restrizioni imposte dall’EPA fossero state effettivamente applicate alle attività legate al carbone, avrebbero assestato un duro colpo alla solidità economica delle imprese e all’equilibrio finanziario dello Stato e chissà se anche di questo ha tenuto conto la Corte Suprema.

Il mutamento degli equilibri interni del Parlamento (meno significativo rispetto alle previsioni che prospettavano una ondata rossa che non si è prodotta) avrà conseguenze sull’atteggiamento della Corte Suprema?.  L’interventismo dimostrato con le ultime decisioni sarà confermato o assisteremo a un self-restraint? Alla base della questione c’è la domanda di quanto le sentenze divisive dell’ultimo anno manifestino una volontà di contrasto o disturbo dell’indirizzo stabilito in sede politica. Ci troviamo di fronte a una fisiologica dinamica relazionale tra giudice/creatore di norme che interagisce in un sistema di Common Law con i rappresentanti politici? A prescindere dalla sensibilità personale rispetto all’oggetto della decisione, convince la lettura dell’intervento della Corte Suprema sulla strategia politica federale statunitense in materia di diritti, sicurezza e ambiente in termini di messaggio politico, da contestualizzare in associazione a pronunce quasi coeve su diritti e temi etici. Ma in un sistema a Costituzione scritta, fortemente ibridato, in cui la statutory law ha acquisito nel tempo un ruolo sempre più pregnante, gli organi rappresentativi assumono un ruolo chiave che dovrebbe essere rivendicato sia in ambito federale che a livello statale. Su quanto accadrà con il nuovo Congresso non possiamo che stare a guardare.
Carla Bassu, 28 novembre 2022