Politica vs. magistratura (e viceversa): separare le carriere per porre fine al conflitto?


Attualmente, in Italia, i magistrati si distinguono solo in base alla funzione che svolgono: giudicante,  e requirente (esercitata dai pubblici ministeri). Nel dibattito italiano – viziato da tensioni trentennali tra magistratura e politica – le posizioni di massima sono riassumibili in due fronti contrapposti: chi ritiene che la separazione delle carriere sia una misura necessaria per riequilibrare un sistema sbilanciato a favore del potere giudiziario e chi, al contrario, teme che la separazione metta a repentaglio la indipendenza della magistratura. Il dibattito è – forse inevitabilmente – influenzato dalle vicende di cronaca giudiziaria e questo non è un bene nel momento in cui si affronta una ipotesi di riforma che tocca i cardini della nostra democrazia e ha una incidenza di rilievo sulla vita di ognuno. Il tema della separazione delle carriere, infatti, presenta due piani di discussione: uno squisitamente tecnico e uno di più ampio respiro politico. Il primo sforzo da fare dovrebbe essere sottrarre il tema alla ribalta mediatica e portarlo nelle aule, dei tribunali e del Parlamento, per coinvolgere e ascoltare chi quotidianamente vive la routine processuale e ha cognizione di causa delle dinamiche della giustizia, dei punti di forza e delle criticità del sistema.

Dal punto di vista tecnico l’aspetto cruciale è: la separazione delle carriere in magistratura è coerente con il nostro impianto costituzionale? Una volta risposto a questo quesito di base, resta alla politica la legittima scelta di merito rispetto alla opportunità e alle possibili conseguenze di una riforma che preveda carriere (e non solo funzioni) separate nella magistratura italiana.

Rispetto al profilo tecnico il diritto comparato offre un segnale rassicurante, dimostrando che la separazione delle carriere non è di per sé indice di carenza democratica o di squilibrio dei poteri. Ne sono prova i casi di Germania, Spagna e Portogallo in cui le carriere sono separate eppure i principi dello stato di diritto non sono in discussione, perché nell’alchimia delle democrazie costituzionali l’equilibrio dei poteri è assicurato da un reticolo fitto di elementi di natura diversa, composto da norme scritte, convenzioni, prassi e cultura istituzionale. È dunque possibile prevedere modelli di carriere separate in cui il bilanciamento dei poteri sia salvaguardato nel rispetto del principio Montesquieiano che ispira il costituzionalismo contemporaneo. Sono i contrappesi, gli elementi di contesto e l’interpretazione più o meno strumentale del ruolo dei diversi poteri nella e della reciproca relazione a fare la differenza.

Prendiamo a esempio i modelli della magistratura della Francia, il cui la carriera è formalmente unica e il CSM è distinto in due sezioni, e della Germania, in cui le carriere sono separate e non esiste un vero e proprio organo di autogoverno. I due ordinamenti, opposti dal punto di vista della organizzazione dei ruoli sono accumunati dal modello di pubblico ministero di natura burocratica, ossia rispondente per configurazione giuridica allo schema delle altre amministrazioni pubbliche, a differenza di quanto accade nelle esperienze anglosassoni. Ebbene, in entrambi i casi il pubblico ministero è sottoposto all’esecutivo. L’unicità della carriera francese e dunque la mera differenza funzionale esistente tra magistrati di parquet (requirenti) e di siège (giudicanti) non sottrae i primi al condizionamento diretto del Ministero della Giustizia. In Germania il pubblico ministero è a tutti gli effetti un organo della amministrazione, gerarchicamente soggetto al potere esecutivo, ma questo ha poco a che fare con la separazione delle carriere perché – come dimostra il caso dei cugini d’Oltralpe - è ben possibile esercitare ingerenza politica anche su pubblici ministeri appartenenti a magistratura a carriera unica. Tutto questo per dire che non ci sono ostacoli tecnici pregiudiziali alla separazione delle carriere, che è una scelta possibile se si ritiene che risolva almeno in parte i problemi del sistema giudiziario italiano (i quali - come è ben noto - sono molti e diversi, a partire dalla durata dei processi, del deficit di organico etc). Si tratta di una scelta politica che, come tutte le scelte politiche in un sistema democratico, dovrebbe essere effettuata con legittimo spirito di parte ma senza cedere a interessi corporativi e – soprattutto – dopo aver ascoltato, opportunamente considerato e bilanciato le ragioni e gli interessi di tutti i soggetti coinvolti: magistrati, avvocati, organi amministrativi dell’apparato giudiziario, cittadinanza.

Nell’ambito della discrezionalità politica, suffragata dal supporto dei tecnici, sono molte le opzioni che possono essere intraprese per comporre il pacchetto di accorgimenti, contrappesi e misure di salvaguardia che concorrono in maniera organica a preservare l’equilibrio del sistema e la separazione dei poteri in un regime di bilanciamento. Per esempio, preoccupa che un sistema di formazione differenziato possa compromettere la pienezza della cultura giuridica di chi compone i diversi ranghi della magistratura? Nulla vieta che si conservi un percorso unico di educazione delle professioni giuridiche, anche a fronte di carriere separate in magistratura, come accade in Germania nonostante le carriere dei magistrati in ruolo siano separate. I tedeschi prevedono infatti un cursus formativo comune per tutte le professioni legali, a partire dalla laurea in giurisprudenza cui segue un primo esame di stato seguito a due anni di praticantato che può essere effettuato presso organi giudiziari, nelle sedi di amministrazione della giustizia o negli studi legali, dopodichè si affronta il secondo esame di stato indirizzato alla carriera che si intende perseguire. Stesso discorso vale per l’iniziativa dell’azione penale, che può essere conservata in regime di obbligatorietà anche con carriere separate, ovvero mitigata o resa facoltativa come accade in Francia a carriere unite o ancora, inquadrata in una cornice di opportunità, come accade nel modello tedesco di carriere separate.

Quello che conta è non introdurre misure spot, non inserendole in un contesto organico armonizzato, e intendendole come soluzioni miracolose. Le formule magiche universali nel diritto non esistono; ciascun ordinamento deve prevedere composizioni chimiche ad hoc, appositamente calibrate in ragione del contesto di riferimento.

Carla Bassu, 29 luglio 2023