Quanto dura un'emergenza? Per una fase 2 all’insegna di ragionevolezza, differenziazione e adeguatezza

Governare è difficile. Il compito di chi oggi è chiamato a gestire la crisi scatenata dal coronavirus fa tremare le vene ai polsi e richiede dosi straordinarie di competenza, impegno e dedizione a districare con equilibrio la matassa degli interessi coinvolti. Chi analizza e critica si trova sempre in una posizione più comoda rispetto a chi decide assumendosi il peso e la responsabilità delle proprie azioni ma chiunque assuma la guida di una città, di una regione, di un paese si fa carico di onori e oneri e non deve perdere di vista il faro che indica la rotta verso il porto sicuro dove traghettare la nave. L’attenzione di un buon comandante deve concentrarsi sull’esigenza di ponderare gli interessi di tutto l’equipaggio e dei passeggeri, anche nella tempesta.

Ciò detto e considerato non si può fare a meno di commentare, a caldo, quanto prospettato dal presidente del consiglio nella conferenza stampa rituale. Dopo aver ascoltato Giuseppe Conte nell'aria aleggia un sentore di questioni irrisolte, aspettative alimentate con l'annuncio di "grandi novità" e non soddisfatte.

La sensazione è quella di una dilatazione delle restrizioni in un contesto di “emergenza normalizzata” cui non corrisponde una pars construens, anche teorica o in via di definizione, che delinei soluzioni a problemi imprescindibili e non più procrastinabili.

Al contrario di quanto avviene altrove nel mondo, dove si percepisce chiara l’urgente ricerca e cauta sperimentazione di sistemi che consentano di preservare diritti fondamentali (salute fisica e psichica di adulti e bambini, libertà di movimento, diritto allo studio e al lavoro) in un percorso di graduale ritorno alla normalità o di costruzione di nuove abitudini che preservino gli interessi di tutti, da noi risulta eclatante l’assenza di un piano strategico.

Eccesso di cautela? Mancanza di coraggio, di risorse, di capacità operative?

Quel che è certo è che tecnicamente l’emergenza per definirsi tale deve avere una durata limitata e le misure straordinarie volte a superarla devono essere condizionate e proporzionate all’obiettivo del ripristino della ordinarietà costituzionale. Oggi lo stress test sulle prerogative individuali sembra giunto al limite.

È ragionevole che le stesse, identiche misure vengano applicate in Regioni in cui il virus sembra ancora vivo e vitale e zone a conclamato contagio zero? È razionale che aree ad altissima densità di popolazione siano trattate al pari di territori scarsamente abitati? Lombardia e Umbria, Campania e Sardegna sono uguali di fronte al virus? Principio di differenziazione, non pervenuto.

È adeguato, in una democrazia stabilizzata, insistere sul contenimento generalizzato piuttosto che sulla responsabilizzazione di  una comunità già consapevole e sulla sanzione rigorosa di chi trasgredisce? La rigidità indiscriminata delle misure è alla base della lunga serie di episodi incresciosi di sanzioni applicate (e talora opportunamente rimosse) a chi, per esempio, si recava a visite oncologiche, faceva la spesa accompagnato dal coniuge disabile, portava l’ultimo saluto al genitore scomparso, nel rispetto delle prescrizioni sanitarie vigenti etc.

Ancora, fa riflettere il ricorso costante ai dpcm, talora scritti in modo criptico (eufemismo) e difficili da decifrare: occorre chiarezza e rispetto all'articolazione delle fonti.

Stride poi con la mia sensibilità la scelta di termini come “permettiamo”, più volte ripetuti dal capo del governo, che evocano gentili concessioni di sovrani ottocenteschi o genitori generosi e mal si adattano a un contesto democratico.

A mio parere, contrariamente a quanto dichiarato dal presidente Conte nessuno si aspettava, se non nei sogni, un “liberi tutti” ma una progressiva e razionale strategia di riapertura e presa di possesso delle libertà si, e si tratta di una pretesa legittima.

Invece le istanze principali sono rimaste inevase: famiglie e bambini ancora grandi assenti; nessun riferimento alla app Immuni, protagonista del dibattito pubblico nei giorni scorsi e ignorata nella conferenza stampa.

Il disagio è profondo e la programmazione di una fase 2 vera e non solo dichiarata non più rimandabile.

Carla Bassu 27 aprile 2020