Sull’affaire Vannacci: non c’è libertà senza responsabilità
Quando l’ormai celebre generale Vannacci ha messo su carta le proprie opinioni, rendendole pubbliche ed esponendole al dibattito e al mercato delle idee, ha esercitato la propria libertà di manifestazione del pensiero: questo è poco ma sicuro.
L’art. 21 della Costituzione italiana è chiaro nel riconoscere a tutti e tutte il diritto di esprimere liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. Si tratta di una prerogativa piena - la cui formula ampia riflette l’esigenza di restituire ai singoli libertà compresse in epoca pre-repubblicana - ma non illimitata.
In una democrazia, infatti, nessun diritto è tiranno e ogni libertà è soggetta a vincoli derivanti dal rispetto delle altre persone e delle leggi dello Stato. Soprattutto, non c’è libertà senza responsabilità e per questo restrizioni della libertà individuale si possono applicare in ragione dello status o della professione, come previsto dall’art. 98 della nostra Carta fondamentale che ammette limitazioni, stabilite con legge, alla iscrizione ai partiti politici per magistrati, militari e diplomatici. È questo l’aspetto che rileva nella vicenda che ha attirato l’attenzione dei media, scatenato polemiche politiche e suscitato reazioni istituzionali: oltre e più che il merito delle opinioni contenute nel volume diventato best seller grazie al clamore suscitato conta l’identità e il ruolo dell’autore. Il punto della disputa è legato ai limiti possibili o eventuali cui la libertà di espressione può essere soggetta in relazione al ruolo, alla posizione istituzionale e alla capacità di influenza di chi la esercita.
Nel caso specifico, il cittadino Roberto Vannacci può esprimere la propria opinione in merito a omosessualità, femminismo, ruolo delle donne nella società, assunti requisiti di italianità e finanche rivendicare il diritto di odiare ma il generale al comando dell’Istituto geografico militare deve tenere conto della posizione che occupa. In una democrazia, infatti, libertà fa rima con responsabilità e i due termini sono connessi inscindibilmente: se ciascuno gode della libertà di esprimersi non tutte le parole hanno lo stesso peso specifico. C’è un confine tra legittima manifestazione del proprio pensiero e diffusione di messaggi pericolosi, suscettibili di istigare all’odio, a maggior ragione se espressi da chi gode di un ruolo pubblicamente riconosciuto.
Dalla prospettiva dell’osservatore costituzionale la questione si declina su quattro direttive corrispondenti ad altrettante parole chiave dell’impianto di una democrazia: libertà, legittimità, opportunità e responsabilità. Il generale Vannacci, in quanto titolare dei diritti civili riconosciuti dall’ordinamento democratico ha la libertà di esprimere le proprie opinioni e ha legittimamente deciso di pubblicare un volume assumendosi la responsabilità di quanto sostenuto. Niente da rilevare se “Il mondo al contrario” fosse stato un libro di giardinaggio o numismatica ma il contenuto del volume affronta temi cruciali e sensibili, su cui non si può lasciare spazio a fraintendimenti. Per questo, quanto sostenuto non può essere valutato prescindendo dalla considerazione della carriera e del ruolo pubblico di chi ha voluto diffondere il suo pensiero. C’è dunque una questione di opportunità ma, soprattutto, rileva il profilo della responsabilità che investe il militare titolare di funzioni istituzionali anche quando veste i panni di scrittore.
Carla Bassu, 30 agosto 2023